Coronavirus. Simone, l'infermiere per metà squillacese racconta la sua "trincea" a Cernusco sul Naviglio. Ai calabresi: "Fate ancora in tempo"

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images Coronavirus. Simone, l'infermiere per metà squillacese racconta la sua "trincea" a Cernusco sul Naviglio. Ai calabresi: "Fate ancora in tempo"
Simone Maida

"Evitate che la situazione esploda come è successo qui! Ho pensato alla Calabria anche per un'altra circostanza particolare. Il primo paziente guarito qui da noi dal Covid-19 era calabrese".

  19 marzo 2020 19:17

di PAOLO CRISTOFARO

Gli eroi non sono persone così diverse da noi. Non hanno costumi strani, non sono invincibili, non usano poteri magici. Anzi, spesso i veri eroi sono simili a noi, sono persone ordinarie che affrontano con coraggio e abnegazione situazioni fuori dall'ordinario, anche rischiando tantissimo. Come nel caso di Simone Maida, infermiere di 32 anni di origini calabresi - il padre è di Squillace (CZ) - che lavora da qualche settimana praticamente "in trincea", nell'ospedale di Cernusco sul Naviglio (MI) e in particolare nel reparto adibito al trattamento di pazienti affetti da Covid-19. Ha deciso di condividere con noi la sua esperienza. 

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Da quanto tempo fai l'infermiere Simone e come è iniziato tutto lì, nel tuo ospedale?

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"Sono infermiere da 9 anni, normalmente lavoravo nel reparto di Chirurgia del mio ospedale, un presidio piccolo, a Cernusco sul Naviglio, nel milanese. Fino a due settimane fa nessuno di noi poteva immaginare cosa sarebbe successo. Come molti italiani pensavamo si trattasse solo di allarmismo eccessivo, ma non è stato così. Il mio reparto, Chirurgia, è stato accorpato ad Ortopedia, proprio un paio di settimane fa, prevedendo di liberare un'intera ala per gli eventuali pazienti positivi al Coronavirus. Ma la calma è durata pochi giorni". 

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Cosa è successo?

"Quell'ala l'abbiamo dovuta aprire subito. Non solo. Anche il reparto di Pediatria è stato adibito ad accogliere i pazienti con Covid-19, quindi è stato trasformato. Anche la terapia intensiva ha intrapreso ritmi pesanti. Quasi tutti i posti occupati, sono 6 normalmente. Ne era stato aggiunto un altro, ma poi è stato necessario adibire anche l'Unità Coronarica ad accogliere pazienti da terapia intensiva, con altri 6 posti letto. Ne arrivano in continuazione. L'ospedale ha circa 120-140 posti letto in totale".

Quanti positivi al Covid-19 avete e come sono le condizioni? Chi di loro finisce in terapia intensiva?

"Attualmente abbiamo 80 positivi ricoverati. Il pronto soccorso è saturo, alcune persone con sintomi avvertono gli ospedali da casa, ma non possono essere ricoverate subito, specialmente se non necessitano di ospedalizzazione immediata e se i posti letto sono occupati. Appena si liberano, per decessi o guarigioni, vengono di corsa puliti e risistemati perché l'afflusso è continuo. Ieri ho fatto la notte, ne sono arrivati 6. Non sappiamo esattamente perché su alcune persone il virus abbia un effetto maggiore rispetto all'impatto su altri organismi. Alcuni sviluppano soltanto la tosse, una leggera febbre, stanchezza. Altri devono essere subito intubati, perché sviluppano un'infezione aggressiva. Quelli intubati non solo sono anziani o gente malata, ci sono anche giovani e senza patologie particolari. Ciò che forse si è sbagliato a non dire subito è questo. Non si può essere tranquilli a nessuna età". 

(Simone in reparto)

Come vi sentite voi operatori, infermieri, medici? Com'è la situazione anche emotiva tra di voi?

"Ce la mettiamo tutta. Non è una situazione facile, data l'emergenza continua, i pazienti soli, senza parenti, lo stress psicologico, la camera mortuaria piena. Continuiamo nonostante la stanchezza fisica e lo stress mentale. Le foto che vedete in TV e sui giornali, con infermieri e medici stremati, sono la quotidianità, non sono eccezioni. Abbiamo paura anche per noi, ma si va avanti. Già 3 colleghi sono stati infettati. Abbiamo mascherine e protezioni, ma spesso capitano errori, capita di toccarsi il naso o la faccia, capita di dover correre ad assistere qualcuno, senza fare in tempo a controllare che sia tutto aderente, tutto in posizione. Gli infermieri operativi non vengono solo dal reparto di malattie infettive, ma da tutti. Quindi non si è abituati a stare sempre in contatto con pazienti altamente contagiosi". 

Vi sentite in pericolo?

"All'inizio non eravamo pronti a questo. Neppure i medici avevano mai visto una cosa simile. Io stesso sono stato a contatto con un positivo, i primi giorni. Per questo ho dovuto fare un tampone, ma per fortuna non mi ha infettato, è risultato negativo. Ma il tampone segnala lo stato nel singolo momento, mentre noi ci lavoriamo 24 ore su 24 con questi pazienti, potremmo infettarci in qualunque istante senza saperlo. Stiamo evitando persino di toccare i nostri parenti e amici, di starci a contatto a casa. Colleghi e colleghe che hanno bambini piccoli non li stanno neppure abbracciando, mantengono le distanze, perché non sanno se possono aver contratto qualcosa durante il turno. Nel mio caso, abbiamo mia nonna vive con noi, io non mangio più a tavola con lei, evito i contatti". 

E' difficile gestire lo stress emotivo?

"E' una situazione non facile. Ma non possiamo fermarci. A volte anche quando siamo a riposo dobbiamo tenere il cellulare acceso, ci chiamano e ci chiedono di aiutare. In teoria non saremmo obbligati a farlo, ma in queste circostanze che fai? Ti vesti e corri! Ci vai lo stesso. Vai ad aiutare i colleghi, salti i riposi, fai ore extra. L'altra sera alcuni colleghi dovevano smontare alle 21, sono usciti alle 23. Alcune infermiere finiscono il turno, si svestono e piangono tornando a casa. E' straziante. E' straziante vedere le persone sole, la gente che muore. Magari i pazienti in buone condizioni con i telefoni riescono a sentire la famiglia, ma gli altri sono da soli. Nessuno entra. I vestiti li portano i parenti alla porta, ma l'ambiente è sigillato. In questi giorni anche sentire la stanchezza è difficile, perché l'adrenalina è altissima". 

(Lo striscione fuori dal presidio ospedaliero "Uboldo" di Cernusco sul Naviglio)

Il vostro presidio riesce a gestire la situazione? Quanto potrete andare avanti?

"Ancora andiamo avanti, ma siamo al limite. Ci mandano malati anche da altri ospedali delle zone più contagiate, dove sono praticamente già al collasso. Non potremmo prenderli neanche noi, ma arrivano comunque. Di questo passo saremo alle strette. Alcuni presidi stanno organizzando tende fuori dalle strutture per il triage, per i pazienti meno gravi, ma in questi giorni è davvero esplosiva la situazione". 

Tuo padre è calabrese, tu ci vieni spesso, cosa ti senti di dire a chi legge dalla Calabria? Cosa suggerisci?

"Ne potremo uscire se si rispettano le regole. Non fate l'errore nostro, di chi ha sottovalutato la situazione, forse non capendone subito la gravità. Penso spesso alla Calabria, al sistema sanitario lì. Non è colpa dei medici, spesso bravissimi, ma una situazione del genere laggiù non sarebbe gestibile a lungo secondo me. Dovete stare a casa tutti, l'unico modo è stare a casa. Non prendetela alla leggera, non pensate alle passeggiate sul lungomare, alla corsetta. Ci sarà tempo. Corro io, corri tu, corre un altro... alla fine la gente è per strada. Non va bene. Fate ancora in tempo. Evitate che la situazione esploda come è successo qui! Ho pensato alla Calabria anche per un'altra circostanza particolare. Il primo paziente guarito qui da noi dal Covid-19 era calabrese. Speriamo finisca presto! Intanto riceviamo tante manifestazioni di solidarietà e affetto dai cittadini. Ci hanno attaccato striscioni all'ingresso dell'ospedale e ci mandano le pizze a lavoro. Questo supporto conta moltissimo". 

(Scatoli delle pizze con dedica, inviati all'ospedale)

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