Calabrexit, la Calabria che si stacca dall’Italia. La grottesca suggestione di Antonio Albanese, nuovamente calato nei panni di Cetto La Qualunque, fa riflettere. E’ molto meno stupida di quanto non appaia. Brexit o meno, la Calabria è già da decenni fuori dall’Italia, tagliata fuori da tutti i circuiti economici e decisionali, ultima tra le ultime. La Calabria per lo Stato, per i Governi, per i partiti politici è quasi un fastidio. Avete fatto caso a tutte le dichiarazioni e le note politiche di queste settimane ? Quando si parla di elezioni regionali, si parla solo di Emilia Romagna. In qualche caso di Emilia Romagna e Calabria, ovviamente in ordine di importanza.
La Calabria povera, la Calabria cenerentola d’Europa, la Calabria che produce solo debito pubblico, la regione dove l’unica “industria” che funziona è la ndrangheta.
Un’immagine devastata e devastante. Calabrexit c’è già, sia pure al rovescio. Si ha quasi il senso della espulsione dal contesto sociale e culturale del nostro Paese.
Ed ecco allora il compito sovrumano – e onestamente proibitivo – per chi sarà chiamato a guidare la Calabria nel prossimo quinquennio: fare rientrare la Calabria in Italia e in Europa. La Calabrexit all’incontrario.
Non ci sarà bisogno di un referendum. Ci sarà bisogno di un lavoro straordinario, mai visto in precedenza, di recupero dell’immagine e della credibilità di questa nostra terra. Dovremo dimostrare che siamo capaci di spendere bene e di tradurre i finanziamenti in opere e in imprese. Dovremo dimostrare di essere onesti ed efficienti. La sfida si giocherà tutta sull’efficienza, sulla velocità, sull’essere in sintonia con i tempi.
Dovremo essere custodi orgogliosi e gelosi della nostra storia e delle nostre tradizioni, senza chiuderci alle novità e alla globalità del mondo che ci circonda.
Sembrano parole fatte, retoriche, forse inutili. E’ vero, ma almeno proviamoci a rientrare in questa Italia e in questa Europa. Albanese-Cetto se ne farà una ragione.
Sergio Dragone
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