La Calabria tra i fatti accecati e le verità nascoste

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Franco Cimino
  18 marzo 2020 17:28

di FRANCO CIMINO

I fatti hanno più coraggio delle persone. E non perché, essendo oggettivi, essi non pagherebbero le conseguenze del loro mancato riconoscimento. I primi a dolersi quando essi non si sentono gratificati dal loro utilizzo umano, oserei dire morale e politico, sono i fatti stessi che perdono la loro efficacia e il loro stesso significato nella storia delle genti. I fatti hanno più coraggio perché sono sempre portatori di quelle verità che gli esseri umani, nella stragrande maggioranza, bugiardamente negano, opportunisticamente alterano, furbescamente manipolano, ipocritamente utilizzano.

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Restiamo in Calabria. I fatti dicono che il ventisei gennaio, e cioè ben due mesi dopo la scadenza prevista, si sia votato per eleggere gli organi statutari della Regione. Dicono che quasi il sessanta per cento degli elettori ha disertato le urne e che i nuovi assetti sono stati determinati da poco più del quaranta per cento degli aventi diritto al voto e che la pur larga maggioranza di questi rappresenta meno di un terzo dei calabresi. In sintesi, sono assai pochi i calabresi che hanno rivolto la loro fiducia e la loro simpatia ai nuovi governanti della Regione. Dico governanti al plurale e non governatore al singolare, perché il rapporto complessivo votanti-eletti riguarda l’intera fiducia che tutte le forze politiche e gli schieramenti in campo e gli uomini e le donne che li hanno rappresentati, insieme hanno ricevuto. Il dato richiamato della minoritaria affluenza alle urne tratta allo stesso modo sia la maggioranza vincitrice sia la minoranza perditrice.

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I fatti dicono che in politica, dove la fiducia del popolo verso chi li governa, e più in generale per le istituzioni, è più vitale che l’acqua per le piante, per superare questo scarto pericoloso, le forze politiche tutte dovrebbero offrirsi a un patto di responsabilità che le veda operare insieme per affrontare tutte quelle questioni che quella sfiducia popolare hanno prodotto. Restiamo in Calabria. I fatti dicono che la nostra regione è sempre più drammaticamente chiusa dentro classifiche internazionali che la vedono ultima in Europa in tutti i campi economici e culturali e “ primissima”in quelli della criminalità organizzata e della corruzione e della nuova analfabetizzazione. È ultima nella lettura di libri e giornali, mentre è una delle prime per il numero della dispersione scolastica e di quello dei giovani che non concludono il corso universitario.

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Queste classifiche dicono anche che la Calabria risulta tra le prime, forse la prima oggi, realtà che esporta i migliori cervelli senza biglietto di ritorno. Attenzione, non i suoi migliori cervelli, ma intelligenze che risultano già in partenza le migliori del vecchio continente. I fatti dicono che se questa situazione anziché migliorare nel tempo peggiora, la colpa più grave è della politica regionale, della sua discesa sempre più in basso nella formazione della classe dirigente, e colpa (perché no?) anche dei calabresi che la sceglie o la lascia affermarsi tra le pieghe del clientelismo più becero e di quelle di molteplici corruttivi, spesso invisibili, poteri. È colpa delle gravi divisioni dentro il corpo martoriato della sua terra. Le prime sono nel suo popolo, sempre chiuso in mille gelosie e quattrocento campanili, senza che mai potesse sorgere in esso una robusta coscienza politica capace di ribaltare la “cattiveria” che si è diffusa nei gangli vitali della società. Le altre divisioni le abbiamo viste all’interno del mondo imprenditoriale e delle forze sociali e sindacali. Anche i corpi sociali intermedi, i cosiddetti mediatori sociali, quali le associazioni, i club service, gli ordini professionali, non si sono mai ritrovati uniti in un progetto unitario di rilancio della società calabrese e delle sue represse ambizioni.

Le Università (ben quattro ne abbiamo con quella per studenti stranieri). Qui le divisioni sono nate prime che esse nascessero, per poi rafforzarsi durante la loro attività. Non so se possiamo dirlo, ma sì diciamolo pure, sono i fatti che lo dicono: divisione, e pure feroce, tra quei poteri nascosti, dalle varie mafie alle diverse massonerie deviate, che spesso hanno deciso i destini di uomini e cose. Infine, la più pesante delle divisioni, quella della politica, la quale da quelle precedenti è stata così divisivamente costruita e sulla prima, quella dei calabresi, ha potuto agire indisturbata per realizzare quel malefico connubio tra interessi e affari, tra consenso e affarismo. I fatti dicono che una siffatta drammatica realtà avrebbe dovuto portare una politica, ancorché fuoriuscita da quel contesto elettorale e anzi proprio per questo, che avesse voluto essere un poco nuova, a processi di autentica unità tra tutti. In particolare tra maggioranza e minoranza, in nome della salvezza della Calabria. Una unità politica che potesse suscitare all’esterno altri virtuosi processi unitari tra le forze sane della società. Una unità politica limitata al tempo necessario per farci imboccare la via della risalita dal baratro, per ridare fiato alle istituzioni e credibilità a chi le rappresenta. Un piccolo sacrificio delle parti, insomma, per salvare la Calabria. Una piccola rinuncia a posizioni di potere personale di quanti, tra l’altro, non tutti per merito delle proprie fatiche, hanno già raggiunto posizioni ben gratificanti sotto ogni profilo.

Quella via, stretta e corta, c’è ed io da molto tempo la propongo: una giunta regionale d’emergenza rappresentativa di tutti gli schieramenti in campo alle ultime elezioni e presidenza del Consiglio Regionale a Pippo Callipo, per il valore della sua persona e non solo come più alta espressione della minoranza. Ovvero, in alternativa, una giunta del Presidente, tutta sua, fatta da competenze consolidate e personale politico scelto al di fuori delle logiche spartitorie tra le liste, e assolutamente lontana da persone che abbiano avuto a che fare, attraverso qualsiasi ruolo, con le amministrazioni e le “ divisioni” politiche precedenti. Questa necessità della logica si è resa più doverosa e urgente a causa del maledetto virus, che, quali che saranno le conseguenze sanitarie e di incolumità dei cittadini, si abbatterà sul tessuto economico e sociale della Calabria con la forza di cento uragani, procurando miseria, povertà, altra disoccupazione e vuoti più profondi sul terreno della sicurezza personale e sociale, da non potersi oggi neppure immaginare. In altre realtà questa necessità la chiamerebbero giunta di emergenza o di salute pubblica. Qui, invece, si fa finta di vivere in un altro mondo dove non esistono problemi se non quelli di pagare i patti elettorali, soddisfare le vecchie logiche falsamente partitocratiche( in Calabria i partiti non esistono più da molti anni), accontentare i piccoli potenti che operano fuori dalle istituzioni e queste piegano a interessi che nulla hanno a che vedere con quelli della nostra terra. Le notizie, che nel momento in cui scriviamo ci arrivano da ambienti che hanno utilizzato il dramma sanitario per prendere tempo sulle divisioni che hanno impedito addirittura la convocazione dell’Assemblea elettiva, che proprio per la drammatica situazione avrebbe dovuto mantenersi in seduta permanente( anche per rispetto ai calabresi costretti a casa e sopratutto agli operatori sanitari, alle forze dell’ordine, del volontariato e della protezione civile, che stanno rischiando la vita insieme a quei lavoratori obbligati al servizio), sono che le liste hanno trovato l’accordo e che la giunta sia stata nominata. Non vado neppure a curiosare sui nomi. Con tutto il rispetto per le persone, trovo che il contesto che le ha chiamate e la logica sottostante siano esattamente l’esatto contrario di cui la Calabria abbia bisogno.

La cosa mi addolora, sotto ogni veste da me ricoperta. E per nulla mi conforta la certezza che i fatti, quelli oggi negati o ingannati, mi daranno ragione. Dico solo: peccato che si sia persa questa importante occasione, che un inciampo della storia ci aveva offerto. L’aveva offerto a noi Calabria. E, per la sua competenza, all’Italia, quella del governo centrale e delle altre ragioni. Adesso gli italiani sono dominati dalla paura e non sentono altro. Al risveglio da questa guerra, tutti capiranno come essa, nelle dure conseguenze, ricadrà per mille anni ancora su di loro. Solo su di loro, sempre più lontani da questa politica e dai pochi potenti che, dal di fuori, la comandano, allargando il solco tra ricchi, sempre di meno ma più ricchi (le crisi epocali storicamente lo attestano) e i poveri sempre più numerosi e più poveri.

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