La Cassazione nega il compenso per i legali dei pentiti. L'avvocato Conidi: "Contro il diritto alla difesa"

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images La Cassazione nega il compenso per i legali dei pentiti. L'avvocato Conidi: "Contro il diritto alla difesa"
Maria Claudia Conidi
  30 marzo 2020 17:57

di MARIA CLAUDIA CONIDI

Sempre a rimarcare quanto lo Stato tenga ai collaboratori di giustizia, mi preme evidenziare come una pronuncia della S.C. ,di certo da portare all’attenzione della Corte Europea dei diritti dell’uomo e precisamente in violazione del diritto alla difesa, quale diritto riconosciuto da tutti i Paesi membri dell’U.E., abbia di recente  deciso in ordine al diritto facente capo al medesimo ,di vedersi riconosciuta l’assistenza legale  ,negandogliela qualora non si autoaccusi, a prescindere dall’esito dei processi-

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Recita infatti la S.C. che è “un privilegio ingiustificato pagare l’avvocato del pentito per il suo processo”

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Cioè non è possibile pagare il difensore del pentito in sede penale per reati estranei alla sua veste di “pentito”-

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La sentenza in esame, la n. 31310, ottenuta da me dietro impugnazione di una mancata corresponsione per attività professionale doverosamente prestata in favore di un proprio cliente “pentito, ha dato torto alla ricorrente negandole ogni sacrosanto diritto al pagamento dell’attività proficuamente svolta in favore del suo cliente, poiché lo stesso, difeso secondo criteri aderenti al dettato costituzionale, era stato assolto da ogni addebito contestatogli-

Secondo la S.C. , infatti , lo Stato dovrebbe riconoscere il diritto all’assistenza legale, solo quando i fatti per i quali il pentito è processato rientrano nella collaborazione, con ciò intendendo solo quei fatti per i quali lo stesso debba autoaccusarsi e non già per quelli in relazione ai quali lo stesso si dichiari innocente, nonostante l’accusa mossagli-

Tanto stride con la logica del diritto alla difesa tecnica, sia essa inerente al pentito che al delinquente incallito,poiché si ritiene che laddove il pentito si difenda a ragion veduta perché davvero innocente in relazione a un delitto non da lui  commesso ,viene comunque  “punito” ,attraverso la negazione dell’assistenza legale gratuita.

Ma per dichiarazioni collaborative, si dovrebbe in concreto pensare sia a quelle per le quali il collaboratore di autoaccusi, sia quelle per le quali il soggetto ,innocente veramente, si dichiari tale,in aderenza ed ossequio alla verità di cui dovrebbe risultare portatore-

A meno che non si possa pensare che il pentito sia inattendibile, dichiarandosi falsamente innocente ,per potere ottenere una sentenza di assoluzione in suo favore, ma il concetto dell’inattendibilità ,porta ad altro tipo di conseguenziali considerazioni  attinenti il valore della prova e l’eventualità della revoca di programma di protezione in capo al soggetto reticente, sanzioni pur previste dalla legge e applicate puntualmente dallo Stato, anche per molto meno di una reticenza processuale-

Nel caso specifico, il mio cliente rispondeva del reato di usura, ma era stato assolto dietro un’attenta e articolata istruttoria dibattimentale nel corso della quale l’A.G. aveva pur accertato ai sensi di legge, la veridicità della sua versione dichiarativa inerente a fatti per i quali era stata poi provata l’inattendibilità di altre fonti testimoniali che accusavano lui ingiustamente in ordine ai fatti costituenti il delitto di usura.

Dunque negare la difesa al pentito che si difenda da accuse insussistenti, è come incentivarlo ad accusarsi, anche quando non è colpevole, altrimenti deve pagare il difensore di tasca sua.

E non è assolutamente la stessa cosa che ricorrere, in questo ultimo caso, comunque al gratuito patrocinio a spese dello Stato Ministero di Grazia e Giustizia, in quanto, molto spesso, il pentito risponde di fatti compiuti oltre il distretto della Corte di Appello in cui risiedeva e dunque in cui il proprio difensore di fiducia espleta la propria professione, con compromissione quindi economica per le spese eventualmente sostenute fuori sede, non rimborsabili, secondo legge in materia.

Ma negare il compenso al difensore che abbia lavorato nel rispetto delle regole del codice conducendo a un risultato degno di una sentenza di assoluzione che nulla potrebbe rappresentare se non il frutto di un’attività istituzionale volta al recupero della verità processuale, è come negare valore alla verità raggiunta, anche in forza di dichiarazioni che siano risultate veritiere e per le quali  si sia  addivenuti a una pronuncia ai sensi ed effetti di legge, sia pur assolutoria-

Tale principio suona come il sovvertire anche in questo caso l’ordine costituzionale nello specifico, il diritto di difesa, contro il solo, collaboratore di giustizia.

Costui, infatti,  qualora dovesse vedersi contestare fatti a lui non attribuibili oggettivamente perché mai commessi, dovrebbe fare i conti con la propria saccoccia per rivendicare la sua innocenza al pari di chiunque altro , sacrificandosi  economicamente ,per poter mantenere il mandato al  proprio difensore di fiducia, che da solo conosce la propria situazione e ha in mano ogni documento utile alla difesa-

Personalmente ho fatto assolvere pentiti di grosso calibro anche con accuse infondate per omicidi o tentati omicidi che non avevano commesso, dimostrando in udienza l’estraneità dei miei clienti(vedi Strage di Gioia Tauro, Strage di Strongoli, e vari omicidi commessi anche nel cosentino)nella certezza del trionfo della verità, sempre ottenuta ,puntando sulla forza del processo e della sua funzione tesa al recupero della verità in assoluto.

Lì nessuno mi ha negato il mio compenso, anche a fronte di giuste assoluzioni.

 Ora, secondo tale pronuncia, avrei dovuto rimetterci di tasca mia, o avrebbe dovuto pagarmi il cliente, ,che per legge, è parificato al non abbiente, in quanto ogni pentito ammesso a programma di protezione, vive di un contributo mensile corrisposto dallo Stato a titolo di assegno di natura alimentare-

Ma ciò, mi domando, a dispetto di chi?

Di chi imposta i processi in maniera traballante o erronea?

Non credo. A loro non cambia una virgola. Fanno carriera ugualmente.

Solo a dispetto dei pentiti che dovrebbero accontentarsi di una difesa d’ufficio, cioè del primo venuto, che, anche a fronte di una confessione del pentito di turno, come accadutomi di recente, chiedono l’assoluzione pentito del reo confesso -

E’ questa altra dimostrazione di quello che io forse presuntuosamente credo, ma fermamente: questa è L’Italia di rovescio.
     

                          *avvocato

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