Bernardo Misaggi, medico ortopedico direttore della Struttura complessa di Chirurgia Vertebrale dell’Istituto Gaetano Pini di Milano. È Professore a contratto all’Università degli Studi di Milano e Vice Presidente della Società Italiana di Chirurgia Vertebrale e Scoliosi. Nato a Marina di Gioiosa, vive al Nord da sempre. Pur con una leggera inflessione milanese spesso si esprime nel suo dialetto. Molto legato alla Terra d’origine, vi ritorna spesso decantandone ovunque la bellezza dei verdi boschi e dei mari azzurri, ma soprattutto si batte, credendoci, per una sanità che non emigri.
di GIOVANNA BERGANTIN
Da primario ospedaliero che ne pensa della politica sanitaria in Calabria rispetto ai bisogni del territorio?
“Da troppi anni la situazione che si prospetta è critica per dire che si tratta di una emergenza. Sono stati fatti molti progetti ma è stato realizzato molto poco. I dati sulla organizzazione e sui risultati sono particolarmente critici e non è sulla carenza dei risultati dei Lea, ma sulla speranza di vita dei Calabresi, sottolineo, molto deve essere fatto; è tra le più basse d’Italia nonostante alcune patologie siano meno frequenti che altrove, a Milano si vive tre anni in più rispetto a Napoli e addirittura di cinque anni rispetto al Sud. Questa è, purtroppo, la fotografia dell’Italia, divisa in due, presentata in questi giorni al Parlamento e al Governo da Tiziano Treu, Presidente del CNEL, e dal Ministro della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone. In particolare, il CNEL evidenzia che si registrano prestazioni maggiori e più efficienti al Nord rispetto al Sud. E questo riferimento, purtroppo, ha significativi riscontri con una sanità che non offre sufficienti e tempestive risposte ai nostri concittadini. La dispersione dei servizi e l’inadeguatezza della loro organizzazione non garantiscono il soddisfacimento delle necessità di cui ognuno di noi ha bisogno. Molti parametri dimostrano che il sistema è carente lungo tutta la filiera, dalla diagnostica di base alle alte specialità e che la Calabria è tra le Regioni che hanno il maggior numero di Cittadini che rinunciano alla assistenza per motivi di reddito. Il ticket in Lombardia è identico a quello della nostra Regione che ha un reddito medio di un terzo rispetto a quello di Milano. Questa situazione è inaccettabile ed è indispensabile che venga recuperato il diritto all’assistenza e alla salute. Confrontare due Regioni tanto dissimili e pretendere uguaglianza di trattamento è dimenticare la realtà. È fondamentale garantire equità di trattamento senza pensare che sia un privilegio. Cinque, sei anni di aspettativa di vita media in meno sono certamente un elemento preoccupante da superare e da recuperare in tempi brevi e nel migliore dei modi possibili. Troppe volte la Calabria è coinvolta in valutazioni negative, ma è indispensabile vedere quale sia la reale portata dei problemi e risolverli”.
A parte i numeri record dell’emigrazione sanitaria cosa si potrebbe fare in Calabria per migliorare i servizi di urgenza o di pronto soccorso?
I numeri della emigrazione sono parte del problema. Oltre ai costi che sono altissimi per il bilancio della Regione, sono oltre 300 i milioni di euro che la regione Calabria rimborsa annualmente alle altre regioni del Centro-Nord per le prestazioni sanitarie fornite ai pazienti calabresi; infatti, si usa dire che la Calabria è il bancomat della sanità delle regioni del centro nord. A ciò dobbiamo sommare tutti i costi personali che i nostri Cittadini sostengono andando fuori Regione per ottenere servizi e assistenza che dovrebbero avere vicino casa. Sommando i rimborsi in questi anni, abbiamo speso molti miliardi di euro che, se investiti in Regione, avrebbero risolto i problemi di base dei nostri Cittadini e molti di quelli che Lei cita sull’urgenza e il pronto soccorso. Gli oltre 5 miliardi di euro che abbiamo perso in meno di 20 anni avrebbero creato opportunità, strutture e servizi adeguati per tutta la Regione. Non voglio fare valutazioni rispetto al passato, ma credo che le parole siano state tante. Certo essere associati alla Regione Veneto per riorganizzare la rete della Chirurgia è una ottima cosa, ma mi intristisce che la Regione non sia arrivata, in tutti questi anni, a governare i servizi sanitari nel modo più opportuno. Ho visto dati di riferimento non particolarmente brillanti, per tempestività e numero. Scrivere e mettere targhe sulle strutture e poi non creare una organizzazione efficace oltreché efficiente è poco utile ai nostri concittadini. Tecnologie moderne diffuse, recupero della medicina di famiglia come base delle nostre attività cliniche e assistenziali, telemedicina per diagnosi e monitoraggio a distanza, qualificazione di tutte le strutture ospedaliere esistenti, migliore utilizzo delle risorse disponibili (abbiamo tanti medici di guardia medica quanto in Lombardia, con una popolazione che è 1/5) e postazioni più numerose per garantire servizi tempestivi in tutta la Regione. Non richiedono costi elevati, ma possono far fare un salto di qualità non indifferente alla nostra Regione e garantire servizi all’altezza dei nostri standard. Vanno rivisti anche alcuni debiti che sono stati attivati in passato e che stiamo pagando dal 2011. Speriamo in una riduzione del tasso di interesse, che è molto alto, che ci consenta di recuperare qualche milione di euro da investire. Chiederemo anche un riconoscimento particolare per poter ridurre costi e fughe con la creazione di unità operative di alto livello utilizzando i nostri soldi per offrire servizi di alta qualità diffusi in tutta la Regione, per cardiologia, ortopedia, le tante chirurgie, l’oncologia e quanto necessario per offrire sicurezza e tempestività riconoscendo le nostre attuali eccellenze e recuperandone altre”.
Da illustre chirurgo ed esperto in materia, quale diagnosi fa e quale terapia prescrive alla sanità italiana e a quella calabrese in particolare?
“La diagnosi è presto fatta, non sempre si è agito secondo le effettive necessità. Basta piangere sulla nostra situazione, vanno create le premesse per favorire i risultati attesi, ma vanno anche realizzate le strutture e acquisite le tecnologie e le risorse umane necessarie. Le strutture ospedaliere vanno rese agili e funzionali creando sistemi che siano altamente efficienti ed efficaci, che rispondano ai bisogni dei cittadini, che diano tempestività e che siano ben supportate a livello territoriale. La creazione di Medical center diffusi che offrano attività specialistiche, mediche e chirurgiche in day hospital, potrà favorire una netta riduzione dei costi e dei tempi di risposta per molte attività mediche, garantendo poi un secondo livello ospedaliero che potrà dedicarsi alle attività più complesse. Dobbiamo favorire la disponibilità del Ministero della Salute per ottenere i finanziamenti e la formazione della medicina generale e creare una rete che consenta rapidi e pronti risultati per i servizi di base (Ecg, ecografie, Tac, Risonanza e molto altro) utilizzando le risorse che oggi sono poco sfruttate e formando il personale. La prevenzione deve essere un altro cardine della nostra azione e possiamo ridurre anche le esigenze di interventi urgenti. La diagnosi precoce e il monitoraggio di pazienti affetti da patologie croniche favorirà risultati qualificanti anche come condizione di salute e aspettativa di vita, alla quale bisogna puntare molto. Eliminazione di tutte le attività burocratiche inutili e tutti i sistemi che non favoriscono risultati per i cittadini, con la gestione corretta dei servizi pubblici e privati. Non ho citato i servizi di salute mentale e la riabilitazione non per disinteresse, ma perché questi devono essere rivisti e rilanciati in modo imponente, nel recupero della nostra disponibilità di risorse che oggi sfuggono alla nostra gestione. Una maggiore efficienza del sistema favorirà risparmi e qualificazione del servizio. Ma il discorso rischia di diventare infinito”.
Dottore, secondo Lei come mettere pace tra la spesa sanitaria, i depotenziamenti delle strutture ospedaliere e i bisogni dei cittadini con redditi sempre più esigui?
“Ho già risposto, in parte, precedentemente. Non si può chiedere a chi non ha. E’ impossibile restare sordi ai continui appelli degli operatori sanitari, delle istituzioni locali e di quelli che provengono dai pazienti e dalla popolazione che soffrono sulla propria pelle il continuo degrado della sanità dovuto al depotenziamento o chiusura dei servizi negli Ospedali: emblematico quello della mia zona di origine, l’Ospedale di Locri, che ha un vasto bacino di utenza comprendente molti comuni con 150 mila utenti che sono costretti ad andare a Reggio Calabria o Catanzaro, viaggio che in condizioni di urgenza diventa un incubo anche per le strade di collegamento che sono molto precarie, soprattutto nell’entroterra. Altri esempi, il depotenziamento dell’Ospedale di Lamezia che sta portando quasi alla sua chiusura o di Trebisacce dove i cittadini devono spostarsi in Basilicata, a Policoro, e la lista, purtroppo, potrebbe essere ancora lunga. Quello che molto preoccupa quando si affronta la questione sanità in Calabria è l’assoluta non volontà politica di aggredire e risolvere i problemi di un settore che da decenni soffre di criticità strutturali, allo stato attuale di quasi impossibile soluzione. Si è giunti a questa estrema situazione perché nei decenni la politica ha considerato la sanità, che ha l’80 % del bilancio regionale, solo come strumento di potere di un enorme serbatoio elettorale. Anche il commissariamento che è arrivato nell’ultimo decennio è stato poco efficace, quasi un fallimento, in quanto, agendo solo con la logica economica per ripianare il grave deficit di bilancio, ha effettuato tagli assurdi e irrazionali senza considerare i bisogni della popolazione e degli operatori sanitari. Quindi il problema della sanità calabrese non si risolve con il commissario. La prima cosa è attivare una gestione meno burocratizzata dei servizi eliminando quanto non necessario, informatizzare in modo intelligente la rete dei servizi sanitari, fare accordi con i comuni per garantire attività burocratiche decentrate e coinvolgerli nella organizzazione e negli obiettivi di rinnovamento e questo lo si può ottenere solo con la partecipazione di tutti. Bisogna creare una rete del territorio attraverso i medici di famiglia e riorganizzare le guardie mediche e la rete ospedaliera, sia quella generale sia quella delle strutture per prestazioni specialistiche e diagnostica per immagini. Per tutto quanto detto, la sanità calabrese va trattata, prima aggredendola, come si fa con un cancro, con terapie immediate che siano forti, d’urto, per le parti più compromesse e dopo, per le parti meno compromesse, con terapie combinate a medio termine: solo in questo modo, forse, possiamo estirpare il male in modo definitivo”.
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