La lotta di Boris e la promessa di bontà già dimenticata

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Franco Cimino
  07 aprile 2020 21:07

di FRANCO CIMINO

Boris Johnson è antipatico. Lo era ieri. lo sarà domani e tutti gli altri giorni, si spera innumerabili, a venire. Lo è per natura, non solo per “ caratura”. Per carattere e non solo per la caricatura che i suoi“ nemici” fanno di lui. A me è risultato antipatico sin dai primi tempi della sua lunga sindacatura di Londra. Sarà indubbiamente molto intelligente, altrimenti non avrebbe fatto la carriera politica che lo ha portato a trasferirsi all’indirizzo più importante del Regno Unito. Ma quella faccia di “superbone”, di ragazzo viziato e arrogante, con l’espressione francamente contrastante con il ruolo che ricopre e quel sorriso da “ broccolo” incravattato, francamente mi sono sempre stati sulle scatole. E, poi, ad accrescere la mia distanza c’era quella sua pesante ideologia, pericolosamente nuova nel non corrispondere, come altre analoghe in Italia, a nessuna delle grandi correnti di pensiero o delle dottrine politiche che dall’ottocento ad oggi hanno guidato le società e governato i diversi sistemi politici in Europa e nel mondo.

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No, proprio non mi piace affatto il primo ministro di Sua Maestà, che già, chiunque fosse, con me partirebbe male solo per questa denominazione, diciamo poco laica. Cosa potrei ancora aggiungere per rafforzare la mia avversione nei confronti della sua antipatia? Ah, ecco: veste malissimo, quegli abiti sempre arricciati e scarsamente appiombo, quelle camicie con i colletti troppo morbidi e piegati, quelle cravatte orribili. E che dire di quella capigliatura cotonata di un biondo che è di colore giallo e che, soprattutto, non sai, come per il suo gemello in antipatia Donald, l’americano, se è vera o finta. Ma, poi, ditemi quel che volete, senza mancare di rispetto agli animali e a chi li cura e li ama, che pure apprezzo, ma quel baciare in bocca il suo cagnolino davanti alle telecamere di tutto il mondo, me lo rende proprio insopportabile. Ancora di più quando ha fatto il gradasso, come il suo gemello, l’americano, di fronte alla minaccia del Coronavirus, assumendo un atteggiamento non solo irresponsabile dinanzi alla sicurezza del suo popolo, ma sprezzante e oltraggioso nei confronti dei paesi, compreso il nostro, che stavano già contando a centinaia le vittime. Detto questo, nutro per il premier britannico un forte sentimento di compassione e di sincera partecipazione in queste ore in cui anche lui, obbligato in ospedale, sta lottando contro l’invisibile bestia che ha assalito il pianeta. E fremo anche per la nobile nazione che lo ha scelto democraticamente come suo governante e come politico chiamato a condurla verso approdi tanto desiderati quanto ancora lontani e rischiosi.

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Temo e prego, infine, per lui, Boris, padre di cinque figli, uomo ancora giovane e proiettato verso un suo personale avvenire in cui la voglia di vivere, più che nell’ansia per il potere, si trova ancora, forse, nei sentimenti verso l’amata e nel desiderio di nuova vita da accendere attraverso l’unione amorosa. Il motivo che, però, mi ha spinto a scrivere di Johnson, potente capo di Stato e uomo solo in questo momento, è il veleno che contro di lui si è scatenato sul web. Quelle parole feroci così cariche d’odio verso un uomo che rischia la vita e quei numerosi cattivi auspici affinché la perda, mi fammi rabbrividire. L’idea che l’avversario politico- valga anche per le cose dette per l’Italia- debba essere sconfitto per mano della “ disgrazia”, della sfortuna, dalla morte anticipata, mi rompe il cuore. La Politica, che è forza costruttiva di pace a tutela della libertà( di tutti) e della vita, non può continuare ad essere campo di lotte asperrime e di odio diffuso e di rancori incrociati. Così degradando finirà di essere e cederà il passo definitivamente all’arbitro di chi godrà dello scatenarsi dei più tribali istinti umani. Nei momenti più duri dell’umanità bisogna restare umani, si dice con una certa enfasi retorica. Io affermo ancora che il più grande progetto dell’uomo del terzo millennio sia quello di riprendersi il dominio della tecnica, il governo dell’economia e la promessa antica della civiltà come motore del progresso. Il fine è ricostruire l’umanità che l’Umanità da tempo ha perduto.

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L’umanità, come spirito collettivo, in cui sono depositati i più alti valori della vita e del vivere in comunione tutti insieme. Questa è la scommessa che dobbiamo fare con noi stessi, oggi, nelle correnti settimane di dolore e di incertezza sui destini proprio dell’uomo e dell’umanità. La retorica del momento, dopo aver insistentemente giocato con la paura delle persone, giura, e ciascuno di noi al suo interno, che questo dramma ci cambierà; che quando rivedremo la luce, in qualche modo, tutti ci abbracceremo. Abbracceremo lo sconosciuto, il diverso , il più lontano. Abbracceremo il nostro nemico e quello che ci era più antipatico; abbandoneremo invidie ed egoismi e ci daremo all’ammirazione dell’altro.

Faremo di più: apriremo il nostro cuore e le nostre tasche e daremo tutto ciò che all’altro serve, al diverso è utile, al povero necessita. Quando le nostre porte si riapriranno saremo tutti buoni. E alla nuova Primavera sia dato inizio. Sarà così? Vorremo che così sia o alla prima domenica di pallone ci dimenticheremo di questo inverno nero e tutto faremo tornare come prima? Prima del tempo che la storia chiamerà “ del Covid-19”. E del quale neppure diremo ai giovani, nostri figli e nipote, che continueremo a riparare dal dolore

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