di FRANCESCA FROIO
Con lo sguardo rivolto al futuro, ma per sempre testimoni di un passato capace di lasciare il segno. Sono loro, i maturandi di oggi, uomini e donne di domani. Una lettera al tempo che verrà, quella scritta da Ilaria. Ne riportiamo il contenuto.
Caro futuro,
oggi voglio parlarti di un momento particolare della mia vita, poiché mio malgrado sono testimone di quello che è successo. Si perché più o meno a gennaio 2020 si iniziò a parlare di un virus che inizialmente non suscitava nessuna preoccupazione tra le persone, in quanto sviluppatosi in paesi lontani dal mio, non ci riguardava direttamente, fino a quando un giorno al telegiornale tutti abbiamo appreso la notizia di un primo caso in Italia, più precisamente a Milano. Certo iniziò a diffondersi una leggera inquietudine, fino a quando questo virus si diffuse a macchia d'olio e l’allora Presidente del Consiglio Conte annunciò la chiusura di tutto. Il famoso “lockdown”, termine , insieme a pandemia, entrato a far parte della nostra quotidianità.
Inoltre, mio caro futuro, devi sapere che da allora iniziarono file interminabili anche al supermercato poiché, dovendo stare a casa, tutti si improvvisarono cuochi, vennero sperimentate nuove ricette. Pensa che anche il lievito e la farina erano diventati preziosi, non si riusciva a trovarli quasi mai, e se era possibile reperirli, costavano quasi come l'oro!
Per darci forza, tutti iniziammo ad attaccare sui balconi, striscioni con su scritto: "Andrà tutto bene" e a darci appuntamento cantando alcune canzoni del passato come l’ Inno di Mameli, “Azzurro” e “Il cielo è sempre più blu”. Ogni tanto scendeva una lacrima perché quelle parole e note musicali, inizialmente pronunciate senza giusto peso, cominciarono ad essere ascoltate con il cuore, e soprattutto si iniziò a comprenderne il vero significato di : “stare uniti, stando distanti”.
Ma fu anche l’epoca in cui non solo tante famiglie si ritrovarono senza lavoro, ma anche quella in cui noi studenti ci ritrovammo senza la scuola, tanto amata e odiata al tempo stesso. Quella che io consideravo seconda casa, perché riusciva a farmi star bene anche quando tutto andava storto. Ricordo ancora che io personalmente, senza la scuola, iniziai a crollare. Si perché avevo perso quell'abitudine, quella “monotonia” che a me piaceva tanto, mi mancava persino avere l'ansia per le interrogazioni e i compiti, mi mancava avere anche un semplice contatto o uno sguardo con i professori e i miei compagni.
Caro futuro, devi sapere che la scuola allora non si è fermata. Si iniziò a studiare da casa, certo in un modo del tutto nuovo, e questa volta non si potevano inventare più le classiche scuse: "Prof, ho dimenticato a casa il quaderno" non era plausibile. Ma noi studenti ci siamo attrezzati in modo diverso per trovare altre scuse. Però devo dire che grazie alle nuove tecnologie venne adottata la didattica a distanza, DAD venne chiamata, e anche i più piccolini si ritrovarono a studiare in questa nuova modalità.
Certo però non tutti avevano a disposizione i mezzi necessari per poterla svolgere. Le scuole si attivarono nei limiti del possibile per aiutare a superare le difficoltà, ma con tutti i limiti che puoi immaginare. Tuttavia un lato positivo forse c'era: ci si poteva collegare anche con il pigiama e i capelli arruffati!
Mio caro futuro, mi torna in mente un giorno in cui durante la DAD mi venne fatta una domanda dalla mia professoressa di Italiano: "Ilaria cosa hai imparato da questo periodo?" Ricordo ancora che io non riuscii a rispondere, ero tremendamente emozionata, ma volevo dirle che in quel periodo capii il vero valore delle persone, quelle che anche se lontane sono capaci di strapparti un sorriso anche tramite un semplice messaggio, quelle persone che non si vedono solo nel momento di festa, ma nel bisogno, quelle che riescono a farmi emozionare con un "mi manchi" o "quando passa questo virus, ci incontreremo".
Quel giorno la lezione, nonostante la freddezza di un monitor e la distanza, per tutti noi della V C si trasformò in un momento indimenticabile di forti emozioni, perché eravamo tutti consapevoli della straordinarietà della situazione che stavamo vivendo e di quanto difficile fosse pensare ad una cosa del genere, ad una normalità che forse non sarebbe mai ritornata.
Sai Futuro, in quel periodo ero una maturanda, in una situazione un po' insolita perché avrei voluto condividere la mia ansia con quella dei miei compagni, svolgendo la prima e la seconda prova, e non solo un "maxi orale" svolto con timore e preoccupazione, anche perché sai, bisognava indossare la mascherina e riuscire a parlare per un'ora con la mascherina addosso non è stato di certo il massimo.
Ovviamente, come dopo ogni periodo buio, si iniziò ad intravedere la luce in fondo al tunnel, iniziarono a diminuire i casi di contagio e piano piano, tra divieti e regole da rispettare, tornammo alla normalità.
Da allora, e ancora adesso, mi consola la frase di una canzone di Antonello Venditti: "Che fantastica storia la vita!", si perché "quando pensi che sia finita, è proprio allora che comincia la salita". Voglio dire che anche questa esperienza ci ha lasciato una consapevolezza in più, quella di non dare mai nulla per scontato e di apprezzare le piccole cose. Sono quelle a renderci felici.
Ilaria Vattini 5C IIS “Fermi”
Liceo delle Scienze Umane
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