di FRANCESCA FROIO
Per la rubrica dedicata ai maturanti 2020, doppiamente vittime delle restrizioni dettate dal covid 19, oggi abbiamo scelto il tema scritto da Carolina. Parole forti e decise che non si fermano ai rimpianti, ma chiedono certezza. La certezza che tutto possa andare bene, veramente. Di seguito il testo.
A diciotto anni tutto ciò che si desidera fare è vivere, vivere intensamente, provare emozioni al punto tale da sentirsi scoppiare il cuore, consumare ogni giornata fino all’ultimo secondo, rincorrere il tempo come se fermarsi solo per un momento potesse farcelo sfuggire dalle mani.
La frenesia, la grinta, l’energia, la ricerca di quella famosa “vita spericolata”, tutto si è fermato in un attimo, senza che ce ne accorgessimo, senza che nessuno ci avvisasse, senza l’opportunità di un’ultima serata fatta di risate e canzoni cantate a squarciagola o di un urlo al suono dell’ultima campanella.
Le nostre giornate sature di vita hanno perso colore da un momento all’altro, ci siamo ritrovati chiusi nelle nostre case, fra quelle quattro mura troppo piccole per contenere il nostro entusiasmo e la nostra fame di vita. Ho sempre pensato al mio ultimo anno di liceo come a un rito di passaggio, un’ultima occasione per dire addio a quella scuola che mi ha dato così tanto, che mi ha aiutato a diventare quella che sono oggi.
Quando ho iniziato il liceo ero una ragazzina introversa, insicura, mi nascondevo dietro a un velo di sarcasmo e autoironia, non avrei mai pensato di poter crescere così tanto in questi cinque anni, di poter combattere ogni mia paura, parlare di fronte ad una platea senza vergogna e assumermi io stessa il compito di far sentire la voce dei miei compagni, candidarmi come rappresentante d’istituto e farcela. Nel mio percorso scolastico ho appreso tanto e questo mi ha portato ad amare la scuola per mille motivi, ma in questa situazione di emergenza ho capito che, più che per ogni altra cosa, amo la scuola per il suo essere comunità.
In questi ultimi mesi ho vissuto una scuola privata del suo più grande valore, del calore, del contatto umano, ho vissuto una scuola fatta di distanze e mancanze incolmabili. I primi tempi è stata dura accettare che tutto sarebbe finito così, dietro uno schermo, e ho pianto, ho pianto tanto. Ho pianto per tutte quelle persone a cui il virus ha portato via tutto, per quelle persone che non hanno potuto dire addio ai propri cari, per quelle persone che hanno combattuto e continuano a combattere ogni giorno con tutte le loro forze questo mostro sconosciuto ma, con un po’ di quell’egoismo che contraddistingue noi giovani, ho anche pianto per me.
Ho pianto per aver passato il mio diciottesimo compleanno lontana dai miei amici, i miei compagni di avventura, per non aver avuto l’opportunità di salutare la mia scuola e per lo sconforto nell’essermi resa conto di quanto tutto ciò che ci sembra certo e sicuro sia invece precariamente appeso a un filo. Ma questo cambiamento improvviso non ha colto alla sprovvista solo noi studenti, i nostri docenti si sono ritrovati a dover fare i conti con un nuovo modo di fare scuola, per il quale nessuno li aveva mai preparati. Nonostante le innumerevoli difficoltà, tra problemi di connessione o mancanza di materiale, quello che i nostri docenti non hanno mai perso è l’amore verso il loro mestiere e questo l’ho potuto vedere con i miei stessi occhi.
Ho visto come molti hanno cercato di approcciarsi, pur essendo a loro quasi completamente estraneo, al mondo della tecnologia, ma soprattutto ho visto come non hanno mai smesso di interessarsi al nostro stato d’animo, così altalenante in questa situazione di emergenza. Essermi sentita ascoltata, sapendo che al di là dello schermo c’è qualcuno genuinamente interessato al mio benessere è stato fondamentale per ricreare all’interno della mia stanzetta, per quanto possibile, quell’atmosfera di unione e comprensione che dovrebbe caratterizzare ogni classe di ogni scuola.
Mi rammarica dire addio alla scuola così, senza le canzoni, il ballo di fine anno e gli abbracci, vado a scuola da quando ne ho memoria e invece adesso il mio futuro sembra essere incerto. Ma all’incertezza del futuro si aggiunge quella di un esame all’insegna della precarietà, avrei voluto vivere la maturità come un’occasione per dimostrare il mio valore, una sfida con me stessa e invece adesso sembra esser diventata una sfida contro la natura, contro quella natura che in questo momento ci terrorizza.
Noi maturandi, noi giovani, siamo il futuro del nostro paese, urliamo di avere paura e la nostra voce viene ignorata. A meno di un mese dall’esame sono ancora troppi i punti interrogativi che lo circondano, non abbiamo ancora delle direttive chiare e definitive sullo svolgimento, mancano i presidenti di commissione e, soprattutto, nessuno ci assicura che saremo al sicuro. Penso a tutti i miei coetanei che stanno affrontando il dolore immenso di una perdita e non posso fare a meno di pensare ai miei compagni lombardi, a quello che hanno vissuto in questi mesi e a quello che stanno continuando a vivere, posso solo immaginare quanto sia difficile per loro dover sostenere un esame incerto, distrutti da tutto ciò che hanno dovuto affrontare e senza riuscire a dare il massimo. In questi mesi ho realizzato quanto la natura sia immensa e potente e quanto noi, di fronte a lei, siamo piccolissimi e questo è spaventoso. Noi maturandi vorremmo delle certezze, vorremmo che qualcuno ci dica “andrà tutto bene” non perché lo spera, ma perché sa per certo che sarà realmente così, tutto ciò che chiediamo è di essere ascoltati, di essere protetti, ma questi appelli cadono nel vuoto e ad oggi nessuno è ancora stato in grado di assicurarci che non correremo alcun rischio.
Cara Ministra Azzolina, non voglio sentirmi dire che questo esame sarà un “esame serio”, non ho mai dubitato della serietà dei miei docenti, voglio soltanto sentirmi dire che sarò al sicuro, voglio soltanto sentirmi dire “andrà tutto bene”.
Carolina Soluri 5C IIS “Fermi”
Liceo delle Scienze Umane
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