
di EDOARDO CORASANITI
Siamo abituati a ricordare le grandi gesta di uomini e donne che lasciano questa terra. Spesso celebriamo figure illustri, persone che “ce l’hanno fatta”, che sono andate via e poi tornate, o che hanno lasciato un segno evidente nella storia di una città. E non di rado, nel farlo, rivendichiamo legami, incontri, frammenti di vita che sembrano diventare improvvisamente decisivi.
Questa volta, invece, se n’è andato uno normale.
Ed è proprio questo che rende tutto più difficile.
Uno che la mattina si alzava presto, prestissimo, ed era sempre il primo — il primissimo — ad arrivare sul posto di lavoro. Perché se Palazzo De Nobili dava una parvenza di ordine, pulizia e accoglienza, il merito era il suo.
Uno di quelli senza i quali i luoghi non funzionano davvero.
Gianpiero parlava. Eccome se parlava.
Riempiva i corridoi di parole, battute, storie. Scherzava con tutti e a tutti piaceva scherzare con lui. A volte anche troppo, a volte rischiando il fraintendimento, ma sempre con quell’umanità disarmante che lo rendeva impossibile da non voler bene. Per questo, quando serviva, tutti lo coccolavano e lo proteggevano, soprattutto nei momenti più difficili.
“Chiedilo a Zerbi” era una delle frasi più usuali tra di noi. Perché Zerbi sapeva tutto di Palazzo De Nobili. Lo conosceva come si conosce una casa vissuta per anni: i tempi, le abitudini, le persone. E ne custodiva anche i segreti, che raccontava con ironia e orgoglio, come quello su Rachele De Nobili, sempre sospeso tra timore e sarcasmo.
Gianpiero non potevi non conoscerlo.
Era uno dei primi volti che incontravi entrando in Comune. E diventava subito una presenza familiare. Non una comparsa, ma una colonna invisibile eppure indispensabile. Una di quelle persone che non fanno rumore nella storia, ma fanno la differenza nella vita quotidiana.
Oggi ci mancherà il suo vociare,
le battute nei corridoi,
quella normalità piena di umanità che teneva insieme tutto.
Ciao Gianpiero.
A modo tuo, resterai per sempre qui. La terra ti sia lieve.
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