La politica del credito per lo sviluppo delle imprese nel dopo Covid

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L'avvocato Luigi Bulotta
  07 febbraio 2021 12:32

La pandemia da Covid-19 e le misure che i vari Stati hanno adottato per contenerla hanno determinato una recessione di portata eccezionale. In tutto il mondo il dibattito di politica economica in questi mesi è stato, ovviamente, pesantemente influenzato dalla pandemia, che ha colpito tutti i continenti, sia pure con intensità diversa. Le autorità di politica economica dei paesi via via colpiti dalla pandemia sono intervenute rapidamente per contrastarne gli effetti economici. I governi hanno disposto aumenti della spesa, riduzioni del prelievo fiscale, misure a sostegno del credito. Le risorse mobilitate sono state ingenti. A livello europeo, agli interventi nazionali si sono associati quelli dell’Unione europea. Sia le famiglie che le imprese si sono viste erose le proprie entrate pregiudicando la loro capacità di far fronte ad impegni finanziari pregressi e rendendo anche difficoltoso l’accesso al credito.

Il ruolo del credito è certamente fondamentale nel sostenere le esigenze di liquidità delle imprese e delle famiglie. La capacità delle banche di espandere i finanziamenti ha beneficiato delle misure introdotte dal Governo, in particolare le moratorie e le garanzie sui prestiti. E’ aumentato l’ammontare dei prestiti stabilizzando le condizioni finanziarie di famiglie e imprese e le misure di supporto hanno, quanto meno temporaneamente, fortemente rallentato le nuove insolvenze.. Ma ovviamente ciò non basta. Infatti, è molto importante riuscire ad ottenere significativi recuperi di redditività – anche attraverso la razionalizzazione dei costi e adeguati investimenti in tecnologia – e proseguire con la gestione attiva dei crediti deteriorati che ha contraddistinto gli ultimi.

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E’ indubbio che la crisi sanitaria abbia comportato (e comporterà) pesanti conseguenze sull’economia italiana e, in particolare, sull’economia supportata da finanziamenti bancari. Normalmente,infatti,  per concedere un finanziamento, la banca richiede all’impresa mutuataria l’elaborazione e l’implementazione di un business plan che le consenta di generare idonea liquidità che possa garantire il rimborso del capitale erogato e degli interessi, secondo i termini contrattualmente pattuiti. Certamente il business plan sarà predisposto tenendo conto della prevedibile evoluzione della situazione economico-finanziaria dell’impresa. Ma nel contesto di precarietà attuale è legittimo chiedersi quale sarà la sorte dell’impresa che rischi di violare, o abbia già violato, gli accordi sottoscritti nel contratto di finanziamento a causa delle sopravvenute e imprevedibili difficoltà economico-finanziarie derivanti dalla pandemia.

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E, pertanto fondamentale rivedere la politica del credito che è sempre stata uno degli aspetti più dibattuti nel mondo imprenditoriale, spesso deluso dall’atteggiamento delle banche cui gli imprenditori, specie nel Sud,  non riconoscono molta sensibilità nei confronti dei loro interessi ad investire ed a creare occupazione.

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 Questa situazione ha costituito un freno allo sviluppo, non meno grave rispetto ad altri problemi con cui le aziende si trovano a fare i conti, primo fra tutti, la carenza d’infrastrutture. Pertanto se non si rimodula la politica del credito sarà sempre più difficile uscire dalla recessione. In passato le banche erano sempre pronte a respingere le accuse ed a spiegare le loro politiche tese allo sviluppo ed agli investimenti, gli interventi, le iniziative ed i cambiamenti che intendono porre in essere; fatto sta che, secondo i dati di Banca Italia, il costo del denaro nel mezzogiorno è stato sempre il più alto della penisola.

È interessante notare che anche le differenze tra aree regionali, già di per sé molto significative, hanno mostrato una recente tendenza all’aumento. Ciò è soprattutto vero per gli anticipi e le aperture di credito in conto corrente, che costano alle imprese del Sud ora il 2,42% in più in media rispetto al Nord. I mutui alle imprese meridionali costano in media tra lo 0,79% e l’1,09% in più rispetto alle imprese del nord (in base alle diverse durate), e la forbice , anche se drasticamente diminuita rispetto risulta più ampia di circa 15-16 punti base medi rispetto ai valori degli anni precedenti. Il costo più alto del credito viene riscontrato in Calabria, seguita dalla Campania, dalla Sicilia e dalla Puglia e Basilicata, mentre i costi più bassi si registrano in Trentino alto Adige e, a seguire, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia Romagna e Veneto.

Il tema del credito nel mezzogiorno d’Italia, pertanto, è, ora più che mai, fondamentale per la ripresa dell’economia di queste aree e deve finalmente liberarsi dalla congiura del silenzio per diventare oggetto di pubblico dibattito. Le istituzioni, per anni, sono state quasi del tutto assenti. Gli interventi del mondo politico hanno riguardato prevalentemente la composizione dei vertici delle istituzioni finanziarie, raramente l’argomento è stato pubblicamente dibattuto. Questo scenario può essere contrastato con un salto d’orgoglio delle comunità regionali, con una nuova tensione morale che deve accomunare la società civile alla classe politica e dirigente. La modifica dell’assetto istituzionale secondo modelli più adatti alle sfide dei mercati e più attenti ai bisogni dei cittadini costituisce l’obiettivo primario cui occorre tendere: ma nel frattempo si deve ugualmente agire.

Nel campo del credito occorre definire politiche nazionali e regionali d’intervento che, sfruttando i rapporti con i massimi istituti bancari, consentano di mettere a disposizione degli operatori locali servizi e professionalità sempre più avanzati. La politica del credito regionale, la definizione di strumenti agevolativi, ritengo debba essere indirizzata a favorire il massimo grado di competitività del sistema creditizio. Occorre difendere la connotazione regionale delle banche calabresi attraverso il mantenimento nella regione dei centri decisionali; mancando un radicamento locale diventa difficile ipotizzare che si possano realizzare concrete situazioni di sostegno finanziario.

Bisogna, dunque, acquisire una nuova consapevolezza sui problemi della nostra realtà regionale; nel campo del credito atteggiamenti di passiva rassegnazione, o d’acuti contrasti, avranno inevitabilmente la conseguenza di ridurre il già modesto sistema di banche costituenti una rete di sportelli dipendenti da direzioni lontane che poca attenzione danno alla realtà locale. L’euro che avrebbe dovuto favorire i rapporti commerciali anche delle imprese del Sud, in effetti, è servito a ben poco.  Gli italiani, meridionali compresi, hanno preso coscienza del loro diritto di diventare europei a tutti gli effetti, europei nella sostanza. Il che, per chi vive ed opera in questo paese, significa anche poter contare su una legislazione e far leva su un sistema di garanzie che gli consentano di competere ad armi pari con gli altri cittadini europei.

E’ inaccettabile, soprattutto per chi vive al Sud, che nel sistema Europa si riproponga quel sistema di diversità che, purtroppo, in Italia ancora esiste e che penalizza le nostre regioni meridionali.  Le imprese devono essere messe in grado di aumentare il loro grado di competitività adeguandosi a modelli europei, sino ad ora evocati ma poi, nei fatti, mai messi in pratica. Per le piccole e medie imprese adeguarsi ai modelli più avanzati d’Europa significa anche poter avere con il sistema finanziario un rapporto più costruttivo, più flessibile, in linea con le loro particolari esigenze. Siamo ancora lontani da quei modelli di rapporto tra sistema finanziario e piccole e medie imprese già sperimentati con successo in altri paesi. In verità, tra banche e piccole e medie imprese continua ad esserci un rapporto distonico, di reciproco sospetto che crea uno scostamento tra il modello proposto

dalla banca e le esigenze delle imprese. Con l’integrazione dei mercati ed il processo di globalizzazione che sta avendo ritmi sempre più accelerati, la competizione economica non è soltanto competizione tra imprese, ma tende a diventare competizione tra sistemi economici.

La rapida evoluzione delle tecnologie, dei cicli produttivi e distributivi interessa direttamente anche settori economici che prima erano interessati solo marginalmente. In questo contesto in continuo cambiamento, il mondo imprenditoriale manifesta bisogni finanziari diversificati, sia per quanto riguarda la gestione corrente, che il sostegno ai nuovi investimenti. Le piccole e medie imprese, non solo per motivi congiunturali e fiscali, attraversano un momento di crisi, ancora più sentito nella nostra realtà regionale per vari fattori locali. Che cosa fare perché le nostre imprese, anche quelle artigianali che sono tante nella nostra regione, dispongano finalmente di supporti finanziari che oggi diventano indispensabili per operare in questo nuovo contesto?  Occorre un forte impegno nelle politiche del credito, in particolare individuando specifici strumenti a sostegno della piccola e media impresa. E’ importante sviluppare una politica del credito fondata sull’utilizzo di nuovi strumenti che consentano la concertazione tra più soggetti per la realizzazione di progetti a valenza territoriale e dall’altro lo sviluppo di nuova imprenditorialità.

Va sottolineata la necessità sia di un impegno diretto verso i grandi processi di modificazione del sistema creditizio, sia verso un collegamento territoriale tra i diversi sistemi bancari (nazionale e locale), finalizzato allo sviluppo delle singole realtà territoriali. Serve, insomma, una politica del credito capace di far nascere, crescere e rafforzare le imprese, che rifugga da un sistema basato sulle garanzie patrimoniali, evitando inutili e frammentari interventi a pioggia, privilegiando, invece, chi merita, chi, pur senza poter offrire garanzie, riesce ad avviare attività serie che creano concrete possibilità occupazionali.

Occorre una collaborazione fattiva delle istituzioni locali per offrire effettive occasioni di credito allo sviluppo imprenditoriale, per sostenere l’ammodernamento della regione e l’ occupazione. Diventa determinante, per realizzare una responsabile inversione di rotta che consenta un reale sostegno alle imprese del Sud, che le Regioni diventino protagoniste e soggetti attivi sia nell’elaborazione di linee programmatiche d’intervento, sia nell’azione di coordinamento e di raccordo tra il sistema creditizio e le imprese, assicurando ogni possibile assistenza e sostegno.

Può essere importante anche rivitalizzare e valorizzare il ruolo delle finanziarie regionali. In effetti, tali finanziarie, costituite in buona parte delle regioni d’Italia, pur rappresentando un potenziale valido strumento, non hanno sempre soddisfatto le aspettative del mondo imprenditoriale soprattutto per la mancanza d’adeguate strategie d’intervento connesse alle esigenze locali. Questa insoddisfazione è probabilmente da addebitare alla mancata elaborazione e messa in pratica di una seria politica economica.

Tenendo conto della enorme devoluzione di compiti trasferiti alle regioni, il successo di questa operazione è nel riuscire a trasformare queste società  (talune solo inutili carrozzoni) in uno strumento concreto ed operativo delle politiche di sviluppo, facendo in modo che possano agire in forma snella ed abbiano la capacità di offrire sempre più qualificati servizi. Qui si gioca veramente la partita decisiva del superamento della recessione e creare le condizioni per la ripresa dell’economia italiana e del Sud, in particolare. Pertanto, ogni decisione va attentamente valutata ed assunta con grande senso di responsabilità da tutti coloro che, a vari livelli, ricoprono ruoli istituzionali.

Luigi Bulotta

 

 

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