La riflessione di Agazio Loiero sulla lettura in Italia

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Agazio Loiero
  26 marzo 2023 13:20

di AGAZIO LOIERO

In Italia, a parte qualche giornale che giorni fa l’ha pubblicata, è passata sotto silenzio la notizia della nuova campagna diffusa in Francia: un quarto d’ora di lettura al giorno. Aprire un libro per almeno quindici minuti. Un appuntamento simbolico lanciato dal Centre National du livre. Questo monito prende vita in un Paese come la Francia dove si nutre il culto della propria lingua e dove quindi la tendenza a leggere è inculcata fin dai primi anni di scuola.

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Naturalmente quel quarto d’ora sarebbe infinitamente più essenziale in Italia, dove si legge poco e i ragazzi sono ammaliati, più che dalla lettura, dal fascino dell’immagine o dalla palestra assertiva dei social. Purtroppo la scuola italiana di questo nostro tempo non diffonde, come invece avveniva in passato, l’uso della lettura, non incentiva l’esercizio della memoria. Due elementi indispensabili all’educazione sentimentale dello studente.

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Io ho cominciato – mi scuso per il riferimento autobiografico – le mie prime stentate letture, come tutti, alla scuola elementare. Sin dalla prima media però esse hanno cominciato ad esercitare su di me un fascino crescente.

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All’inizio non si trattò di una lettura diretta, ma mediata. Ho infatti imparato ad ascoltare incantato i racconti di autori importanti che la mia insegnante nell’ora di italiano leggeva e commentava in classe. Si trattava di un suo trucco pedagogico per instillare nei giovani studenti, attraverso il gusto del racconto, un vero e proprio sentimento dell’ascolto. Purtroppo quell’ora di lettura finiva presto, lasciandomi dentro un senso d’inappagamento che non riuscivo a soddisfare autonomamente perché nella mia casa dell’infanzia non c’era un libro. Neanche uno. Mi toccava leggere l’unico testo di cui disponevo: l’antologia.

Da quell’esperienza iniziale è nata una passione che non si è mai spenta. Rispetto alle tante abitudini che col passare degli anni ho abbandonato per via, la lettura è rimasta inamovibile. Nel mio piccolo è diventata anche per me quello che Geno Pampaloni definì molti anni fa con un’immagine folgorante” una forma di “remedium solitudinis”. Un balsamo per la solitudine. Con una duplice ricchezza: che ci spingeva alla solitudine e ci salvava dalla solitudine. Un toccasana che svolgeva dunque due compiti, deliziosamente contrapposti.

Naturalmente non leggevo “tutto il giorno”, come ho visto fare ad alcuni studiosi miei amici, ma leggevo “tutti i giorni”. Farei fatica  a trovare nella mia memoria una giornata senza la compagnia di un libro, di un giornale, anche quando le mie ore venivano assorbite da un lavoro pesante, com’è quello politico. Nulla infatti ti aiuta nei momenti difficili quanto la compagnia di un libro. Non quello elettronico che aborro ma quello di carta, per me ancora così carico di magia. Talvolta mi vien fatto di pensare alle prime letture dell’adolescenza che mi davano una sensazione unica. Un godimento sottile che mi sembrava scorrere nelle vene, rafforzato da alcuni elementi che affioravano da chissà dove, all’apparenza insignificanti, che però, per chi ha contratto il vizio di leggere, acquistano un particolare valore. Penso al profumo dell’inchiostro, più acuto nei libri del passato, o al fruscio della pagina sfogliata che interrompeva la maestà del silenzio della sera.

Con il passare del tempo quell’alfabeto simbolico che, pagina dopo pagina, si schiudeva dinanzi ai miei occhi senza più mediazioni, solo per me, mi riempiva d’orgoglio. Spesso mi sorprendo a pensare quanto più povera, privi degli stimoli di alcuni professori, sarebbe stata la vita di tanti studenti meridionali, impossibilitati a trovare un libro nelle loro misere case. Quelle figure di insegnanti che al suono della campanella si presentavano in aula, con gli occhialini rotondi e quei cappotti lisi del dopoguerra, sembrano sfilare nella memoria come divinità protettive in un immaginario sacrario del tempo. Specie in questa stagione in cui la scuola sembra svolgere un ruolo dimesso.

Qualche tempo fa i dati dell’Ocse hanno stabilito che l’Italia occupa l’ultimo posto in Europa per la comprensione di un testo scritto. L’altro ieri però – e chiudo qui il mio racconto autobiografico – entrando inatteso nella stanza di un mio nipotino, che frequenta la quarta elementare, l’ho trovato disteso sul letto assorto a leggere un libro di avventure. Ho richiuso in fretta la porta per non turbare un incantesimo.

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