di FRANCO CIMINO
Io non amo le mascherine. Per niente. Diciamo pure che mi sono antipatiche e non le sopporto. Hanno tutto di negativo. Proprio tutto. Sia sul piano fisico che su quello estetico e culturale. Il Covid tra le sue tante punizioni ci ha inflitto questa, che, tranne per la sofferenza inenarrabile causata ai suoi aggrediti e alle sue vittime, è la più brutta. Il Covid sembra muoversi con una strategia superiore a quella umana. Dà l’impressione di impiegare nei suoi movimenti una razionalità straordinaria che va a colpire là dove più efficace appare la sua azione. Immaginiamolo pure, una vendetta.
Ma di chi? Non di Dio, che è sempre buono. E neppure della Natura, figlia, come noi, prediletta del Padre. Da qualche parte, però, questa cattività, di certo, proviene. Probabilmente, da quella deviazione della Bellezza umana che ha portato l’intelligenza oltre ogni limite che l’etica della vita imporrebbe. L’uomo sta giocando troppo con la sua pretesa di vincere tutte le sfide per imporsi, nella lotta più antica dei forti contro i deboli, come dominatore della vita e padrone del bene e del male, elementi capovolti rispetto alla classificazione umanistica. Mi fermo, però, dinanzi a questo contorcimento logico per non incorrere nella presunzione di filosofare sul dramma che il mondo sta subendo. Torno alla mascherina come punizione del Covid. Essa reprime e nasconde tutto ciò che di più bello abbiamo. E abbiamo pure poco goduto e trascurato: il viso. Il viso della persona è un cielo. Un cielo ricco di tutte le sue espressioni. Specialmente, del suo farsi luce diversa per tutto il giorno senza mai spegnersi. Neppure nella notte più profonda.
Quante volte lo guardiamo,il cielo, nei molti visi che incontriamo? Poche volte quelli amicali e familiari. Mai quelli che incontriamo occasionalmente nel vissuto quotidiano. Il viso, il cielo, ha una luna bellissima, la bocca. E questa, come la luce, ha centinaia di colori e diverse intensità. Ci parla anche senza le parole, che però quando le escono senza filtri hanno un suono comunque bello, perché vero. Sincero. Decodificatile. Ha il sorriso. Di gioia, di melanconia. Di desiderio, di nostalgia. Ha la chiusura della paura e della disperazione. Della sofferenza e del pianto nascosto. Ha l’ironia del disprezzo per le cose brutte e per l’ipocrisia. Ha la pazienza dell’attesa e la discrezione della domanda trattenuta. La bocca ha l’amore sulle labbra. Sempre. Come bisogno anche per chi l’amore l’ha perso o mai incontrato. La mascherina obbligatoria ventiquattr’ore su ventiquattro, in ogni spazio sia pubblico che privato, è una punizione. Durissima. Ci obbliga a nascondere la bocca. Ma ci ricorda anche delle volte in cui non abbiamo guardato il volto dell’altro. La mascherina non la sopporto, perché io amo l’aria che respiro. L’amo tanto che la respiro a pieni polmoni. Mi piace l’aria fredda dell’inverno e quella che il vento spinge più forte. Quando le respiro, sembra che i polmoni si liberino dalle loro prigioni e si purifichino, facendomi più sano e più bello.
Più forte, addirittura, mi sento. Sempre giovane, ché se c’è un cosa che invecchia è la mancanza di questo respiro dell’aria. La mascherina non la sopporto perché nel modo in cui è concepita copre due terzi del viso. Lascia solo visibili gli occhi. E questo non sempre basta per riconoscere una persona. Solo gli innamorati, in qualsiasi ruolo ricoperto ( amante, figlio, amico, genitore) si fanno bastare gli occhi e con gli sguardi si dicono tutto. Nella vita ordinaria e sociale questo non serve proprio. Esci, quindi, incontri persone e non le riconosci. Mamma mia che rabbia che mi fa! C’è chi ti guarda per capire se sei tu e tu guardi quello o chiunque incontri per sapere se è lui/lei, quel conoscente o quell’amico e nessuno che indovini al primo colpo d’occhio. Specialmente quando si corre veloce( sempre abbiamo fretta) o ci si trova “ di rimpetto”, come le nostre strade strette e brevi ci consentono da marciapiede a marciapiede. Io mi difendo applicando, maggiormente adesso, la raccomandazione del mio tenero ed educato papà:” figghiu meu, saluta sempra, saluta tutti. U salutu è sempra educatu e fa bonu a cui u duna e a cui u riceva.” Ma, anche questo pensiero pedagogico non mi basta. Ancora mi piace salutare quella persona, non soltanto una persona. E di più, potermi fermare per un breve scambio di pensieri o di sentimenti. E perché no? anche di qualche “ pettegolezzo” di quella narrativa provinciale, che è bene mantenere viva anche per capire quanto sia cattiva e quanto più brutti ci faccia. La mascherina non mi pace. Non la sopporto, no. E, tuttavia, finora, l’ho sempre portata secondo le disposizioni delle autorità sanitarie. La porterò anche secondo il nuovo decreto del Presidente della regione, che, nella sua severità, appare più insopportabile, la mascherina intendo. Anche se il comportamento contraddittorio della signora Santelli, che ad inizio estate voleva aprire tutto e subito e oggi vorrebbe serrare porte finestre e bocche, appare davvero più antipatico delle mascherine. E anche più inquietante, perché ingenera insicurezza nel sistema sanitario regionale, molta confusione e tanta paura tra i calabresi. E questo, nell’incertezza politica generale in cui si muove la Calabria, dà più di qualche preoccupazione.
Quanto al mio “obbedir tacendo”, non è perché sopporti acriticamente tutto. È perché la mia educazione personale e politica mi porta ad avere rispetto per le decisioni delle autorità istituzionali e fiducia verso le istituzioni. Un rispetto anche nei confronti di quanti, in situazioni drammatiche, lavorano per la sicurezza del Paese. Trovo perciò stucchevoli e insopportabili le posizioni, quasi sempre strumentali, di quanti in piena guerra pontificano su tutto. Pontificano sul Covid e su temi e argomenti sui quali sono più ignoranti “ delle capre”. I politici, i filosofi, i critici d’arte, gli affaristi, i procuratori legali di calciatori e dirigenti di sport spettacolari, che discettano sul Covid e gli strumenti per affrontarlo, contrapponendosi alle autorità mediche che vi lavorano notte e giorno, ovvero, quanti, con soltanto la calcolatrice sul telefonino, vorrebbero trasformarsi in matematici ed esperti in statistica, per dare altri numeri, o per negare quelli ufficiali, sulla diffusione del virus, insomma tutti coloro che, ieri come oggi, negano o riducono a raffreddore questa terribile invasione “ malefica”, a me sinceramente danno più fastidio della mascherina. Fanno più paura dell’epidemia. I numeri dei contagi in Italia, in forma distesa su tutta la penisola, dicono due cose. Che il virus circola anche da noi; che possiamo controllarlo bene, se ci comporteremo responsabilmente perché l’Italia nella fase uno ha fatto un lavoro coraggioso e intelligente( ricordate chi voleva denunciare Conte alle procure per sequestro di sessanta milioni di persone e per attentato alla Costituzione?). Ma ci sono numeri davvero assai inquietanti, che ci riguardano molto. Sono quelli della Francia, con i suoi quindici-ventimila, della Spagna con i suoi dodicimila, dell’Inghilterra con i suoi ottomila e della Germania con i cinquemila, contagi al giorno, migliaia di ricoveri in rianimazione e chissà quanti morti. Degli USA e del Brasile, con i loro presidenti quali primi negazionisti, non dico, ché mi viene da piangere di rabbia.
Ma di questi paesi che sono l’Europa e che vivono accanto a noi( lo dice anche la geografia, che diamine!) e respirano la nostra aria e ci respirano sul viso, di questi bisogna dire. E dire, oltre il nostro dolore e la nostra solidarietà, che sono una minaccia per tutti. Per noi, soprattutto. Anche se abbiamo mezzi e scienza per affrontarla. Si dice, non io lo dico, che ai centinaia di milioni di contagiati e al milione di morti finora raggiunti nel mondo, vi è il rischio di una moltiplicazione di questi numeri, per arrivare a un possibile rapido due milioni di morti nel mondo. Del mondo, non di un altro pianeta. Di uomini come noi. Come quelli che sono morti soli e lontani dalle loro case nell’Italia dell’inverno scorso. Uomini anche tra noi, in misura non calcolabile ancora, anche se si spera o si certificherebbe che saranno pochi. E poi pochi quanto( lo dico ai professorini del “tanto morirà solo qualche vecchio”, magari per risolvere il problema Inps), se una sola vita umana vale quanto la più potente banca? A
Allora, facciamo come ci dice il grande Totò ribaltandone la situazione: “ siente a me, nun fa’u resistive... nui somme serie, appartenimme a... vita”. E contrastiamo la morte. Mettiamoci sta cavolo di mascherina e comportiamoci bene. Tutti laviamoci spesso le mani. Qualcuno qualche volta la coscienza.
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