La riflessione. Franco Cimino: "Pino Nisticò, 'un pazzo' e la sua follia che può cambiare la Calabria e i calabresi"

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  03 novembre 2020 17:41

di FRANCO CIMINO

Un pazzo si aggira per le vie della Calabria. Anzi, dell’Italia. Gira il mondo da sempre. Prima Londra, che era poco più che un ragazzo con la divisa di professore universitario, che, per quel viso fanciullo oltre che per l’età molto giovane, lo si confondeva con i suoi stessi studenti. Poi il Sudamerica, perché vicino al modo di sentire della sua terra natia e della prima giovinezza, e vicinissima anche a quell’America, gli States, dei sogni e delle grandi conquiste tecnologiche che hanno segnato il Progresso e le più incisive innovazioni culturali del secolo scorso, e dove ha studiato e operato per un tempo non breve. Da quelle parti i pazzi sono normali e lui con altri pazzi ha accresciuto la sua pazzia. E la gioia folle di vedere i pazzi cambiare il mondo, costruire saperi nuovi e ricchezza vera. Per tutti, dove quel tutti significa che la Politica dovesse, come sempre debba, intervenire, nella democrazia applicata al sistema economico liberale, per indirizzare la più equa distribuzione delle risorse accumulate, insieme agli ambiti in cui il sapere si forma e si riorganizza per fare sistema. Egli è uno scienziato. Da sempre lo è. Prima della medicina, poi della farmacologia e quindi delle neuroscienze. E come tale, vestito dell’umiltà e dell’autorevolezza degli scienziati, in contemporanea ha fatto di se stesso il docente che insegna e l’allievo che impara. Infatti, ha sempre insegnato, e diverse discipline, a Napoli, Londra appunto, Messina, Catanzaro, Roma.

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E come maestri ha scelto e si fatto scegliere da Renato Dulbecco, il catanzarese in America, e Rita Levi Montalcini, che l’hanno, oltre che stimato, anche amato molto, ché lui è pazzo e i pazzi si fanno amare profondamente da altri pazzi. Nella pazzia c’è l’idea ossessiva che si radica nella testa come forza, insieme propria ed esterna. L’idea matta che da ragazzo si muove in lui, sin da quando dalla sua Cardinale, e poi Soverato, ogni giorno raggiungeva il Liceo di Catanzaro. È lungo quei cinquanta- trenta chilometri che egli vede la sua Calabria in miniatura (ché essa è ovunque diversa e identica a se stessa), la bellissima terra, che dai monti brevi e flessuosi scende verso un mare magnifico. Un percorso di bellezza esclusiva, però disturbato da ogni forma di povertà e arretratezza, da quella economica e infrastrutturale a quella politica e culturale. Una arretratezza che la isola sotto ogni aspetto, da quello fisico a quello politico-culturale, dal resto del Paese e dell’intera Europa, finanche dai Paesi a sud del Mediterraneo. Altro che, pure per il suo territorio cadente, “ sfasciume pendulo sul mare”. L’idea che subito matura in lui è che bisogna interrompere presto quell’isolamento pesante per trasformare quelle esclusive bellezze in ricchezza da far godere al mondo intero. E ai calabresi, per trovare lavoro vero e produttivo. Stabile e moltiplicabile. E, pertanto, moltiplicatore di ricchezza autentica. Bisognava uscire dai vecchi schemi. Della retorica di un mezzogiorno accattone e di una Calabria miserabile, soprattutto. Abbandonare, bisognava, il senso di frustrazione dominante e quell’atavico aspettare che altri facciano per noi. Qualsiasi cosa, purché non si sia completamente abbandonati.

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Una Calabria che risorga da se stessa, era il dovere, e che valorizzi tutte le sue energie, in particolare quelle da sempre mai considerate. Anche qui, in questa regione. Sono le energie prettamente umane, ricche di intelligenza e genio creativo, che, altrove nel mondo, hanno fatto grandi e progrediti i paesi, che pure della immigrazione hanno saputo trarre una loro felice opportunità. Puntare, quindi, decisamente sulle intelligenze. E sul loro impiego nella ricerca scientifica, delle più moderne e sofisticate tecnologie e nella promozione di una nuova economia, che dal locale, quello calabrese, si collocasse nel globale, quello che stava già sviluppandosi oltre oceano. Questo pensava quel ragazzo, che vedeva lontano. Ci volevano, innanzitutto le Università, qui, in questa terra desertificate di strumenti della formazione alta e professionalizzata. E per l’università, come giovane, combatté molto, fino a contribuire a far nascere la prima, in Arcavacata di Cosenza, quella del suo amico Nino Andreatta, primo Rettore della stessa. Era, quella, un primo centro di promozione scientifica. Ma, non bastava. Ai calabresi non bastava. Fu, pertanto, utile, lui lo comprese bene, anche la lotta di campanile che spinse i catanzaresi a “ pretendere” la loro Università. Quel giovane professore assecondò, con l’autorevolezza politica che nel frattempo si era conquistata anche sul sentiero delle sue amicizie vere con leader di indiscusso carisma nazionale, quella “ pretesa”. Nacque (prima di essere nella sua intera autonomia la Magna Graecia Università), Medicina, facoltà dove operò lungamente ricoprendo le cariche di preside di Farmacia e pro-Rettore a fianco di una altro genio visionario, Salvatore Venuta, il Rettore per sempre.

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L’idea pazza era, aggiuntivamente, che non bastavano due Università, e poi tre con Architettura in Reggio Calabria, che non dialogassero tra loro e insieme con il territorio. Le Università come luoghi di ricerca devono essere strumenti per lo Sviluppo, secondo il suo pensiero, attività incessante per la crescita culturale dell’intera regione e spazi speciali per la formazione di nuova classe dirigente in un processo di continuo ricambio. Per impegnarsi più proficuamente in questa pazzia, chiamato insistentemente da quanti forse guardavano più alla sua bella immagine che non alla sua pazza idea, si spostò dalla cattedra alla guida della Regione. Furono tre anni intensi ma di profonda solitudine, quei tre che hanno corso velocemente dal 1995 al 1998. Il Presidente, parlava della necessità che la Politica sostenesse le Universita’ e i Centri di ricerca che le affiancassero con il contributo di scienziati di levatura mondiale, attraverso progetti finalizzati alla valorizzazione di migliaia di giovani laureati. Tutti impegnati nel campo delle tecnologie avanzate e impiegate nelle varie branche della sanità e della ricerca scientifica ad essa collegata. Ricerca estesa anche ai settori nevralgici della Calabria, agricoltura, turismo, beni culturali, cultura del paesaggio. Insomma, modernità e antichità mano nella mano lungo il percorso straordinario della nostra Bellezza. Pochi ricorderanno la pazzia di quel presidente, che, subito dopo il suo insediamento, nominò, con atto formale, una mega giunta a sostegno esterno di quella ufficiale, composta dai alcuni tra i più grandi scienziati, tutti aderendo all’invito, a partire proprio dalla Montalcini e da Dulbecco. Sono passati molti anni da allora e tanto altri viaggi in giro per il mondo, anche se quel giovane, non ancora vecchio, conserva intatto il suo aspetto giovanile e il suo volto di ragazzo.

E però la sua folle idea gli è rimasta in testa. Inseguendola con testardaggine di calabrese, l’ha rafforzata. Ha girato in lungo e in largo tutta la politica regionale per offrire, chiavi in mano, il grande progetto della Silicon Valley, che in America ha creato, nel sud della California, un immenso parco scientifico, il più imponente polo di investimenti tecnologici capace di creare ricchezza ed occupazione per giovani laureati. Una specie di immensa Università intorno alle Università. Una grande occasione per la Calabria, quella che aspettava da sempre. Da quel progetto “ universale” l’inarrendevole pazzo, ne ricava un altro apparentemente più piccolo ma egualmente straordinario. Lo inventa per realizzarlo più agevolmente. Crea, nel luglio scorso, la Fondazione Renato Dulbecco. Di questa più diffusamente scriverò in un altro momento. Intanto, posso dire di quel che si vede immediatamente nei fatti. Ne sottolineo i tre straordinari, che più mi hanno favorevolmente impressionato. Il primo è nella sua ragione fondativa. Si tratta di un Centro di ricerca per lo studio e la produzione di “anticorpi monoclonali e di pronectine per il trattamento di malattie ancora non giunte alla piena vittoria, come il cancro e l’invasione polmonare del Coronavirus, oltre alle cure delle malattie neurodegenerative, in particolare, l’Alzheimer, il Parkinson, La SLA. La ricerca tratterà anche lo studio di malattie cosiddette professionali, quali quelle, di cui poco si conosce, derivanti l’inquinamento dell’ambiente. Non è una casetta da poco questa, soprattutto se si pensa ai due livelli di partecipazione scientifica al progetto. La prima, riguarda la piena collaborazione, una sorte di supervisione o direzione esterna, del professor Roberto Crea, calabrese in San Francisco, illustre scienziato nel campo delle biotecnologie, tanto celebrato negli USA, che della Fondazione ne è socio e presidente. La seconda, è la presenza, in una unica funzione, di un Consiglio Scientifico Internazionale, di cui fanno parte scienziati di fama mondiale, tra cui due premi Nobel (Aaron Ciechanover israeliano, e Thomas Sudhof della Standford University), e di un Comitato tecnico-scientifico, composto da eccellenze delle Università di Catanzaro e Cosenza. Il lavoro non manca, potendo già svolgersi sui dodici brevetti che proprio il prof Crea ha concesso in licenza alla Fondazione.

Il secondo fatto, è la scelta della sede e del luogo in cui sorgerà la Fondazione per merito di un virtuoso sodalizio nato tra un comune, la regione e varie organizzazioni sociali e culturali. Lo sottolineo, questo, perché raramente in Calabria si è vista, o almeno io non me la ricordo, una stretta alleanza tra vari soggetti in nome di una politica nuova, che metta al centro gli interessi generali e il dispiegamento di risorse straordinarie, anch’esse strettamente alleate nella loro producente diversità. La sede è una bellissima struttura pubblica, per lungo tempo sottoutilizzata, di molto sottovalutata e spesse volte concepita in modo clientelare. Si tratta del complesso Fondazione Terina, allocato al centro della Piana lametina. Questa centralità “ geografica”, rende più plasticamente, oserei dire politicamente, l’idea che il Progetto in questione non è solo per la Calabria, ma è della Calabria, regione che ha bisogno di strumenti nuovi e coraggiosi per avviare la più grande delle sue sfide, quella dell’unità piena. Territoriale, culturale, economica, sociale. Politica. Lamezia, anche come Città (finora sempre abbandonata alle sue tante solitudini e alle molteplici violenze), questo compito di servizio onorevole può svolgerlo molto bene. Infine, il fatto che mi è piaciuto di più. Lo propongo non per la spinta che sale dall’emozione, ma perché esso è tanto valido in sé che quella emozione trasforma in dolente nostalgia. Si chiama Iole Santelli. La presidente, davvero con intelligenza politica fine, ha subito capito la forza travolgente della straordinaria occasione e l’ha sostenuta con determinazione. Intorno a questa pazza idea, avrebbe voluto mettere la sua, la più inaspettata per chi ha ritenuto, io tra questi, che lei potesse essere troppo timida e timorosa per avviare rivoluzioni nella regione della immobilità e della rassegnazione, al massimo sempre colonia di qualcuno o di qualcosa. Iole Santelli, la donna presidente, forse, avrebbe davvero rotto le vecchie pigrizie e, attraverso il progetto che lei stessa ha di fatto avviato, portare la Calabria sul terreno della modernità. Quello in cui Scienza e Natura, ambiente e territorio, cultura e ricerca, vita e biotecnologie, risorse territoriale e umane, difesa della bellezza e innovazione, tecnica ed etica, Politica e istituzioni, potranno fondersi in una grande idea di Calabria. E di un Sud che guarda ai tanti Nord dell’Europa non per chiedere ma per dare. Dare forza umana, disegni ideali e progetti.

E tanta ricchezza, a partire dalla propria che riuscirà a costruire da oggi in avanti. Iole Santelli non c’è più e chi non prova un sincero dolore politico è “ scemo” proprio. Le elezioni arriveranno presto. Il timore grande é che esse, per la furberie che il vecchio notabilato imprimerà nel deviato principio del “ravvicinare” il voto, è che non solo nulla cambi. ma che dalla Santelli, quale pur timida novità, si possa tornare indietro. E sarebbe una sciagura. Un modo, anche se ancora piccolo, per contrastare questo pericolo, è chiamare tutti i prossimi candidati, prima che gli eletti futuri, a un rinnovato impegno a favore della neonata Fondazione Dulbecco. Tanto per cominciare, per poi lungo quella scia continuare.

C’è un pazzo che gira per la Calabria. Porta avanti un’idea folle: la Calabria può cambiare da se stessa. Si chiama Pino Nisticò, lo scienziato con il vizio della poesia, il professore, il politico. L’innamorato pazzo della sua terra. E non si ferma. La pazzia si può miracolosamente trasmettere.

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