La riflessione/ Il mio Primo Maggio senza manifestazioni e cortei. La disparità di genere si farà sentire nel post pandemia

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Antonia Romano
  03 maggio 2020 14:05

di ANTONIA ROMANO

È appena trascorso il primo Primo Maggio della mia vita senza manifestazioni di piazza e cortei. Per la prima volta abbiamo vissuto la “festa del lavoro” con la pesante percezione di come la pandemia stia trasformando in modo radicale la nostra vita, di come oltre alle vite personali fatte anche di relazioni e fisicità, ci troviamo di fronte al dramma della ripresa in condizioni economiche da dopoguerra. Numerose sono state le iniziative che si sono realizzate nel web, confermandoci che questi strumenti tecnologici, troppo spesso demonizzati, consentono di rimanere comunque diversamente connessi con il mondo e con le persone.

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Tra gli eventi organizzati per il primo maggio, vivendo ormai da un anno in Calabria ed essendo una vecchia iscritta Anpi, ho preferito concentrarmi su un evento organizzato dall’Anpi di Catanzaro. L’ho scelto anche perché tra i relatori era presente Luigi Pandolfi, giornalista economista che ha il dono di parlare di economia con argomenti e termini accessibili anche a una ignorante in materia come me.

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L’evento mi ha colpito subito per la presenza di soli uomini a parlare di un tema importante come il lavoro. Nonostante ciò, ho seguito comunque la discussione contravvenendo al mio impegno, assunto da tempo con me stessa, di evitare di partecipare a eventi con relatori di un unico genere, inutile specificare maschile.

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Ho trovato molto interessanti gli interventi di Luigi Pandolfi e di Jean - Renè Bilongo. Quest’ultimo autore di un libro, che non ho letto ma di cui ho apprezzato diverse recensioni positive che mi hanno spinto ad acquistarlo.

Ciò che personalmente contesto e su cui esprimo convintamente il mio disappunto è l’assenza delle donne tra i relatori e dalla discussione. Eppure lo stesso sindacato Cgil presente con il segretario generale regionale ha nelle sue fila donne molto preparate e molto impegnate proprio nella lotta al caporalato di cui si è giustamente parlato .

Come si può parlare di crisi del lavoro, di crisi economica determinata anche dalla pandemia, senza fare cenno al prezzo elevatissimo che in termini di lavoro e di diritti stanno pagando le donne? Come si può parlare di sfruttamento in agricoltura senza soffermarsi sulle disparità salariali tra i due generi che caratterizzano il settore?

Già prima della pandemia i dati Eurostat diffusi per il Women’s Day sulle disuguaglianze di genere collocano l’Italia al penultimo posto in Europa per il tasso di occupazione femminile con ben 13,8 punti percentuali in meno rispetto alla media europea.

Si sarebbe potuto, dovuto parlare, il Primo Maggio in pandemia, del diverso modo di vivere la quarantena delle donne, alcune delle quali sono costrette a coabitare con il partner maltrattante che in troppi casi è purtroppo diventato il loro carnefice. Proprio in Calabria andrebbe sottolineato che la mancanza di lavoro femminile, le forti asimmetrie di potere economico tra uomo e donna in famiglia costringono molte donne a sopportare, a subire le violenze non solo o non necessariamente anche fisiche, perché non possono progettare una loro vita futura e soprattutto perché correrebbero anche il rischio di vedere i propri figli e le proprie figlie affidate al padre maltrattante.

Si sarebbe potuto, dovuto parlare, il Primo Maggio in pandemia delle donne che si dedicano al lavoro di cura come colf e badanti, molte delle quali percepiscono paga a nero, senza tutele e senza diritti e che sono rimaste a casa senza alcuna possibilità di guadagnare.

Si sarebbe potuto prendere in considerazione la ricaduta che la necessaria chiusura di scuole e nidi d’infanzia avrà proprio sul lavoro femminile quando si dovrà decidere come gestire figli e figlie a casa dovendo recarsi al lavoro.

Ignorare questo in un dibattito sul lavoro in cui interviene il segretario generale regionale di un sindacato importante come la CGIL vuol dire che l’occupazione femminile non è una priorità, che i diritti delle donne non sono considerati alla pari di altri diritti, che le voci delle donne non sono necessarie, men che meno autorevoli quando si trattano temi come il lavoro.

Del resto in questa ingloriosa fine dell’antropocene, causata da un invisibile essere sospeso tra vita e non vita, segnata dall’abdicazione della democrazia in favore della tecnocrazia, le task force sono composte in larga maggioranza da uomini ‘autorevoli’ che evidentemente non hanno interesse ad aprire la gestione della crisi a istanze diverse da quelle che rappresentano, anche quando al ministero si trova una donna.

A nulla è valso infatti l’appello della Società Italiana degli Economisti Nell’appello si fa chiaramente riferimento al peso della crisi sulle donne e alle ricadute della stessa anche in termini di occupazione femminile su tempi medio lunghi. Mentre alcune associazioni, il cui elenco aggiornato si allunga sempre di più, chiedono che la task force “Donne per un Nuovo Rinascimento” non sia un contentino o il solito progetto delle donne per le donne, ma diventi un progetto delle donne per il paese.

E mentre la parte più numerosa della popolazione continua a reggere principalmente sulle proprie spalle il peso della cura, del lavoro domestico non riconosciuto, dell’accudimento di persone anziane in famiglia e la restante parte della popolazione disegna il futuro per tutti e per tutte, sembrano confermarsi i dati relativi a Covid-19 sulle differenze nell’insorgenza, nelle manifestazioni cliniche, nelle risposte ai trattamenti, nei decessi tra uomini e donne, risultando i primi decisamente più vulnerabili e a rischio.

Anche solo per puro egoismo e per la tutela della propria sopravvivenza si dovrebbe far capire ai nostri tecnocrati che l’organizzazione della società e del lavoro con il riconoscimento di pari dignità a uomini e donne e l’abbattimento degli stereotipi di genere, che castrano la nostra vita in una rigida separazione di ruoli, sarebbero oggi più che mai obiettivi da porsi come priorità urgenti, lasciando magari a casa i papà che potrebbero esercitarsi con i numerosi tutorial per preparare il lievito madre e consentendo finalmente alle donne di assumere nella società che deve riorganizzarsi compiti, cariche e incarichi che spettano loro di diritto. In questo modo la fase 2 potrebbe diventare l’inizio di un nuovo mondo possibile invece di dover ancora una volta coniugare il verbo essere al passato remoto e non al futuro.

Di tutto ciò e di molto altro si sarebbe potuto discutere, ma non vi si è fatto alcun cenno e che un sindacato non avverta la necessità di porre questa questione al centro di un dibattito pubblico sul lavoro e sui diritti soprattutto in una regione a forte disparità di genere, la dice lunga sulle difficoltà che avranno le donne nel post pandemia e su come persino chi, almeno sulla carta, dovrebbe tutelarne i diritti di lavoratrici si dimentica di loro.

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