La riflessione. L’analisi dell'economista calabrese Walter Frangipane sulle "prospettive di ripresa economica"

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images La riflessione. L’analisi dell'economista calabrese Walter Frangipane sulle "prospettive di ripresa economica"
L'economista Walter Frangipane
  08 luglio 2021 10:19

di WALTER FRANGIPANE*

"A un anno e mezzo circa dall’inizio della pandemia COVID 19, sebbene ancora non ne siamo completamente fuori, probabilmente abbiamo ora dei motivi di giustificato ottimismo. In Italia, ma anche in altri Paesi europei e nel mondo, le iniziative di vaccinazione sono in fase avanzata, anche se, occorre dire, il successo di tali iniziative differisce abbastanza da un Paese all’altro nella stessa Unione Europea, oltre che nel mondo, ma dopo oltre un anno di lockdown, di stop-start, di stipendi ridimensionati, di perdita di occupazione di mano d’opera lavorativa a vari livelli, di attività economiche sensibilmente diminuite, l’auspicio è che l’economia possa crescere. Secondo le ultime previsioni della Banca Mondiale, l’Economia dovrebbe crescere a livello globale del 4% nel 2021.

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Per l’Italia, dove oltre 17.000 imprese hanno chiuso definitivamente i battenti, ci sarà davvero un’esplosione economica? La Confindustria ragiona in termini positivi, considerando i segnali di crescita occupazionali di oltre 130.000 posti di lavoro in più, al netto delle diminuzioni di posti, rispetto alla perdita di circa 270.000 posti di lavoro verificatasi nel corrispondente periodo dello scorso anno, nel pieno della pandemia. La crescita dovrebbe accentuarsi, secondo la Confindustria nei mesi a venire, sopra tutto dopo che arriveranno i primi 25 miliardi di euro che dovrebbero affluire dal Next Generation EU. Il Ministro Brunetta, che è ancor più ottimista della Confindustria e della stessa Banca Mondiale che, come sopra accennato prevede una crescita globale del 4%, ha detto: “Ho la sensazione, anzi è più che una sensazione, che siamo alla vigilia di un nuovo boom economico. Il rimbalzo, come tasso di crescita del P.I.L. (Prodotto Interno Lordo), sarà più vicino al 5% che al 4% previsto e forse persino qualcosa più del 5%”.

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E per quanto riguarda la riforma della Pubblica Amministrazione il Ministro ha aggiunto: “Dobbiamo spendere oltre 230 miliardi in soli 5 anni. Abbiamo trovato compagini ministeriali che, a livello tecnico e di funzionari, sono state desertificate da anni di blocco del turnover. Se vogliamo far ripartire il Paese dobbiamo ricominciare a fare assunzioni. Quelle temporanee, finalizzate al Piano nazionale, e quelle per rivitalizzare strutturalmente i ruoli dell’Amministrazione. Perché puoi anche assumere a tempo un super ingegnere, scegliendo il meglio sul mercato, ma poi ti serve anche il tecnico di qualità del comune che ci sappia interloquire alla pari”.

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Occorre dire, però, che il nostro Paese ha già adottato, durante la pandemia, ma ne adotterà in seguito, misure politiche che non hanno precedenti nella storia, per sostenere le persone, le famiglie, le imprese a tutti i livelli e in tutti i comparti, basti pensare al P.N.R.R. (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), la cui componente predominante comporterà incidenza sul nostro debito pubblico, per cui occorrerà una “politica attiva” e molta oculatezza nei programmi di ripresa e di investimento; le risorse finanziarie che affluiranno dall’Unione Europea, e non solo dal Recovery Plan, non dovranno essere considerate come si suol dire “a pioggia”, ma dovranno essere effettivamente allocate e tenute in continua osservazione, in relazione all’esito della realizzazione dei progetti e dei loro benefici economici, peraltro attenzionati e periodicamente visionati dall’Unione Europea, altrimenti le generazioni che ci seguiranno si troveranno davanti a problemi seri: non è possibile sbagliare.

Tuttavia è probabile che l’impatto delle misure relative al COVID e quelle post COVID acceleri tendenze economiche in senso inverso come la deglobalizzazione, e ne acceleri, invece, altre già avviate, se non consolidate, come l’automazione, la digitalizzazione e sicuramente la sostenibilità; ma può anche darsi che ci sia un’inversione nelle tendenze decennali, come la mobilità internazionale e l’urbanizzazione. È altresì probabile che i timori per la salute relativi allo stretto contatto umano e ai viaggi globali, combinati con le preoccupazioni sulla fornitura sicura di beni e servizi essenziali, cambino il modo in cui si comportano le persone, le imprese e le economie in genere. La ripresa economica nel nostro Paese potrebbe avere velocità diverse, a seconda dei comparti, alcuni settori probabilmente si avvieranno con maggiore celerità rispetto ad altri. A fare da precursore, per così dire, nella ripresa economica è stato il settore dei servizi: come i consumi, i bar, i ristoranti, i musei etc. Questo avvio immediato è stato determinato dalle riaperture post pandemia, ma anche dalla campagna vaccinale che procede al ritmo di più di mezzo milione di somministrazioni al giorno.

Certamente sul fronte sanitario, come autorevoli esponenti del nostro Sistema Sanitario Nazionale hanno sostenuto, nessuno potrà sentirsi al sicuro dal virus finché non saranno al sicuro tutti. E i successi delle vaccinazioni locali non saranno sufficienti per proteggere tutti da potenziali ulteriori focolai, soprattutto in caso di nuove varianti, come del resto abbiamo visto. Ma al di là degli aspetti della salute, le divergenze nella velocità e nella portata della ripresa economica comportano anche rischi sostanziali per le imprese e per i partner commerciali. Infatti la crisi economica determinata dal COVID ha messo in luce la fragilità delle strutture commerciali esistenti, a causa delle forti dipendenze fra imprese e imprese, fra imprese e indotto etc. sopra tutto quelle interdipendenti dalle catene globali.

È verosimile, quindi, che si verifichi l’aumento dei costi di produzione se si ricorre di più a mano d’opera qualificata e meno a quella di migranti. Indubbiamente se diminuiranno i viaggi e gli spostamenti e se si manterrà il distanziamento, questi fattori in comune non possono che spingere verso l’automazione e la digitalizzazione. Il lavoro da casa, lo smart-working (lavoro agile) accelererà l’uso di tecnologie che in precedenza erano ben fattibili, ma non ampiamente adottate. Indiscutibilmente la possibilità di lavorare a distanza non è uniforme tra i vari settori del nostro Paese, ma le difformità si riscontrano anche in altri Paesi Europei e non solo nel nostro. Infatti, mentre la maggior parte dei lavori in ruoli altamente qualificati può essere svolta da casa, lo stesso non si può dire per i lavori in agricoltura, negli alberghi, nei ristoranti, in particolare nelle vendite commerciali al dettaglio. Gli effetti postumi della pandemia potrebbero aumentare il ruolo e l’uso dei robot di servizio in quei settori. Ma anche qui potrebbe delinearsi il rovescio della medaglia; cioè potrebbero ampliarsi ulteriormente le divisioni esistenti: tra lavoratori bassamente e mediamente qualificati rispetto ai lavoratori altamente qualificati. Le aziende digitali pian piano potrebbero prendere il sopravvento rispetto alle altre, e quindi si potrebbe verificare, in alcuni comparti dell’Economia, ciò che dicono con durezza alcuni Economisti americani “winner-take-all” (il vincitore prende tutto). Questo potrebbe influire anche sui mercati tra quelli avanzati e quelli emergenti. Ne conseguirà che le Economie avanzate, con maggiori investimenti tecnologici e lavoratori più qualificati, ne trarranno i maggiori benefici. 

Sotto il profilo delle diseguaglianze sociali, le famiglie meno abbienti hanno perso molto di più di quelle al vertice della distribuzione del reddito, e c’è stata anche, bisogna dirlo, una contrazione molto più consistente nelle industrie dei servizi a contatto che in altri settori. Se le azioni governative mirassero a rimodulare un significativo riequilibrio fra le diverse classi sociali, sarebbe già un bel passo importante per una transizione di successo a un mondo post COVID. Non manca, ovviamente, il timore che compaiano più varianti resistenti ai vaccini, che aumenteranno ancora di più gli sforzi di vaccinazione. Ma oltre al virus, c’è una serie di rischi economici correlati da considerare. Una ripresa non sufficientemente robusta potrebbe provocare, sul piano occupazionale, cicatrici permanenti se troppe imprese falliscono, come alcune sono fallite, e i mercati del lavoro inizierebbero ad evidenziare disoccupazione di lunga durata che renderebbe i lavoratori inoccupabili. Sorge anche un’altra domanda: quanta riduzione dell’indebitamento ci sarà tra le imprese altamente indebitate, piccole e grandi che siano e le famiglie? Sperando, naturalmente, che questo effetto sarà perlomeno in parte compensato dal rilascio della domanda repressa, mentre i consumatori spendono i risparmi dell’era della pandemia. 

Senza le riforme strutturali, inoltre, che ci vengono peraltro richieste dall’Europa, ci potremmo trovare anche davanti a una minore crescita economica rispetto a quella ipotizzata, e a un elevato rapporto del “debito pubblico”. Finché la Banca Centrale Europea continuerà ad acquistare assets, lo spread sovrano (cioè il differenziale tra i rendimenti dei titoli tedeschi e italiani) potrebbe anche rimanere contenuto. Ma alla fine il sostegno monetario all’Italia dovrà essere gradualmente eliminato e i deficit dovranno essere ridotti. Altrimenti?

Sotto il profilo ambientale, al di là delle minacce rappresentate in particolare dal cambiamento climatico di cui tanto si parla, la pandemia ha insegnato quanto l’umanità sia esposta a eventi naturali di portata globale. Sebbene per alcuni soggetti economici il blocco dei mesi scorsi ha creato enormi difficoltà, esso ha anche evidenziato in maniera chiara l’impatto ambientale positivo di aria più sana e cieli più puliti in alcune delle città più grandi della nostra Italia, ma anche in altre megalopoli europee. Infatti, si stima che le misure di blocco nei Paesi dell’Unione Europea abbiano provocato un calo del 57% delle emissioni giornaliere di carbonio.

Il sostegno del governo italiano alle imprese e alle famiglie, in particolare quelle più disagiate, potrebbe essere quindi utilizzato non solo per riavviare l’economia, ma anche per contribuire a trasformarla. Le iniziative potrebbero includere investimenti diretti in soluzioni rispettose dell’ambiente o incentivare gli investimenti privati in tecnologie a basse emissioni di carbonio. E difatti altri Paesi Europei, come anche la Gran Bretagna, hanno già dichiarato che incorporeranno politiche verdi nei loro Piani di Ripresa.
In un contesto più globale, in cui il nostro Paese è interdipendente, è estremamente difficile prevedere quali cambiamenti climatici, ma anche quelli economici in senso più generale, diventeranno permanenti e quali saranno presto dimenticati. 

Tuttavia, è probabile che l’Economia Globale diventi meno integrata a causa di barriere commerciali, del ripristino delle catene di approvvigionamento, della riduzione della migrazione di manodopera e degli investimenti diretti esteri. E tutto questo è veramente probabile perché i cambiamenti potranno avere anche implicazioni macroeconomiche: i cicli economici globali potrebbero diventare meno sincronizzati, mentre la crescita e l’inflazione potrebbero tornare a essere più volatili. 

C’è, in conclusione, un urgente bisogno di incoraggiare la creazione di posti di lavoro, specialmente per i giovani e altri gruppi vulnerabili, possibilmente posti di lavoro di qualità, con salari e condizioni di lavoro dignitosi, che consentano alle persone di vivere con dignità e di provvedere alle proprie famiglie. È una strategia questa che comporta una profonda e ampia trasformazione degli attori sia del settore pubblico che di quello privato, nonché delle relazioni tra di essi. Ma il tempo ci dirà come sarà il nostro futuro".

*Economista

 

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