di MARIA PRIMERANO
La voce è pacata, il tono sereno, dolce. Raoul Bova racconta sul palcoscenico del Teatro Comunale, per la stagione Ama Calabria, due storie parallele, sdoppiandosi tra i due leggii che ne trattengono le disperate partiture. Le note sono tristi, lancinanti, graffianti. Ma tant’è. L’importante è non dimenticare, conoscerle, tenerle a mente, e soprattutto trasmetterne la memoria.
“Il nuotatore di Auschwitz” è lo spettacolo che ci apprestiamo a seguire, un racconto delle vite parallele di due uomini internati ad Auschwitz, quella di Alfred Nakache - detto “Artem”, detenuto numero 172763, che da bambino aveva la fobia dell’acqua e niente avrebbe lasciato presagire che sarebbe diventato uno dei nuotatori più forti al mondo e più volte recordmen - e quella di Viktor Frankl.
Il primo, dunque, nuotatore di professione, l’altro, medico neuropsichiatra, accomunati dalla forza di vivere, dall’intelligenza e dalla speranza, riusciranno entrambi a trovare la forza di resistere e salvarsi. Una partitura complessa, fatta di suoni diversi che inducono nella mente degli spettatori immagini molteplici di orrore e dolore. Un richiamo dolente alla Shoah.
Le parole si tessono e si organizzano in racconti distinti ove sfilano i treni per Auschwitz, si delineano quelli delle baracche, s’intravedono i campi di lavoro, appaiono le saponette per andare alle docce e i ganci per appendervi gli abiti prima di addentrarsi, poi s’innalza la nuvola nera dei forni crematori. In una scena scarna, minimalista, fatta solo di uno schermo gigante che trasmette le immagini del tempo, e due leggii, lineari giochi di luce sottolineano situazioni diverse.
Ma eccoli i tedeschi che ridono con livore e si divertono macabri al freddo. Lanciano monetine nella pozza d’acqua ghiacciata e costringono Alfred Nakache a recuperarla, pena la morte sua e del compagno che gli sta accanto. Ma tra giacigli duri e latrine, inganni dello stomaco con brodaglia sporca e un tozzo di pane per fargli credere di essere pieno, il pensiero costante di ricongiungersi con i propri cari che funge da leitmotiv, i mesi passano, e i due, sopravvissuti alla tragica esperienza, quando arriverà il giorno della liberazione, la racconteranno.
Il primo ritornerà a casa, si risposerà, vincerà altri importanti competizioni sportive, l’altro diverrà primario di neuropsichiatria a Vienna e scriverà trattati importanti. “Guai a chi non si ritrova l'unico suo sostegno del tempo trascorso nel lager - la creatura amata. Guai a chi vive nella realtà l'attimo del quale ha sognato nei mille sogni della nostalgia, ma diverso, profondamente diverso da come se l'era dipinto. Sale sul tram, va verso la casa che per anni ha visto davanti a sé nei pensieri e solo nei pensieri, suona il campanello - proprio come lo ha desiderato ardentemente in mille sogni ... ma non gli apre la persona che avrebbe dovuto aprirgli - e non gli aprirà mai più la porta”, scriverà Frankl in uno dei suoi testi, Uno psicologo nei lager. L’esperienza vissuta ha segnato entrambi per sempre, ma la resilienza ha fatto la sua parte. L’importante è non dimenticare. Lo ribadisce anche Raul Bova in finale. Molti applausi.
Note:
Il 4 agosto 1983 Alfred Nakache morirà di infarto, mentre sta nuotando al largo di Cerbère, nei Pirenei Orientali. Negli ultimi anni molte piscine in Francia e nel mondo gli verranno intitolate; alla sua storia si ispireranno film, mostre e un documentario. Il Mémorial de la Shoah di Parigi gli dedicherà grande attenzione e impegno per far conoscere la vicenda di questo straordinario campione sportivo che è stato un esempio di incredibile forza d’animo e di resistenza anche in una situazione eccezionalmente drammatica e disperata come la Shoah.
Dal 2019 il suo nome vive in eterno nella gloria dei più grandi atleti di nuoto del mondo, iscritto nella Swimming Hall Of Fame di Fort Lauderdale in Florida. Viktor Frankl, rientrato a Vienna, dimostrerà di aver tratto dall’atroce esperienza grande conoscenza e la trasferirà nei suoi studi scientifici a beneficio dell’umanità, spinto dal desiderio di trovare un senso, uno scopo per la propria vita. Creerà allora la logoterapia, che è proprio la pietà per le vittime del cinismo che hanno perso il senso della loro vita a causa delle tendenze disumanizzanti e spersonalizzanti che dilagavano nell'Europa del primo dopoguerra. La logoterapia, infatti, associata ed imprescindibile dall'analisi esistenziale, è un approccio psicoterapeutico che si pone, come obiettivo primario, la riscoperta del significato (logos) dell'esistenza dell'essere umano.
Scriveva:
“Che cos'è, dunque, l'uomo? Noi l'abbiamo conosciuto come forse nessun'altra generazione precedente; l'abbiamo conosciuto nel campo di concentramento, in un luogo dove veniva perduto tutto ciò che si possedeva: denaro, potere, fama, felicità; un luogo dove restava non ciò che l'uomo può "avere", ma ciò che l'uomo deve essere; un luogo dove restava unicamente l'uomo nella sua essenza, consumato dal dolore e purificato dalla sofferenza. Cos'è, dunque, l'uomo? Domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è”. “Vivere significa prendersi la responsabilità di rispondere esattamente ai problemi che l'uomo si trova di fronte e di adempiere ai compiti che la vita pone al singolo”. (Homo patiens. Soffrire con dignità)
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