di MARIA GRAZIA LEO
Il 9 maggio è una data multipla di ricorrenze, pur nelle diversità delle annualità. La nostra attenzione verrà focalizzata sulla giornata della memoria dedicata alle vittime del terrorismo (istituita dal Parlamento italiano il 4 maggio del 2007 con legge n.56) e in particolare nel ricordare la figura politica di uno Statista e presidente della Democrazia cristiana, che venne barbaramente ucciso dalla Brigate Rosse, proprio il 9 maggio del 1978: Aldo Moro. Lo vogliamo ricordare in una specifica prospettiva, che senz’altro potrà dare risalto e lustro ad un altro 9 maggio, quello che i capi di Stato e di Governo europeo -riunitisi a Milano nel 1985- istituirono come “Giornata dell’Europa” che dal quel momento in poi si sarebbe festeggiata ogni anno -nella data suddetta- in omaggio alla dichiarazione del ministro degli esteri francese Robert Schuman -resa a Parigi il 9-5-1950- con la quale si diede il via al processo politico dell’integrazione europea con la prima creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Quindi giornata della memoria in ricordo di Aldo Moro ed anche festa dell’Europa. Un momento di tristezza che si sposa ad un momento di gioia e speranza. Sembrerebbe un ossimoro ma chissà il destino aveva probabilmente predisposto un disegno più grande ed inaspettato… E si perché, quando parliamo di Moro e di Europa mettiamo subito in luce un connubio interessante se non per originalità certamente per il prezioso e notevole contributo che egli diede alla realizzazione del sogno europeo; un sogno, un progetto che se lo analizzassimo bene -con gli occhi di oggi- risulterebbe addirittura profetico e antesignano rispetto agli eventi che poi si sono susseguiti e che ci circondano, ci coinvolgono attualmente e in confronto alle risposte che non sempre le istituzioni europee e la politica odierna riescono a fornire, alle aspettative dei cittadini europei. Aldo Moro è stato un visionario della politica ed un autentico europeista convinto.
La sua lezione consegnataci in eredità la si può attribuire a molte doti che lo contraddistinsero: la raffinata oratoria priva –possiamo affermare oggi- di qualunque elemento o frammento di populismo modernista; la formazione cattolica nella Fuci universitaria; la cultura filosofica e giuridica che ha trasmesso nel corso dell’insegnamento accademico agli studenti, con l’amore che si addice ad un buon padre di famiglia, insegnamento che non volle mai abbandonare nonostante la politica gli prendesse molto tempo. La paziente capacità nell’ascoltare i giovani e l’impellente necessità di sentire le istanze provenienti dalle nuove generazioni erano per Moro un “assillo” ideale e sinergico continuo. Ed infine ma non per ultima c’era la sua passione politica incentrata sempre sul dialogo, sulla mediazione alta, nobile in cui aleggiavano i valori ed i principi costituzionali insieme a quelli morali ed umani, il tutto ancorato nell’ottica della laicità dello Stato, pur essendo egli appartenente ad un partito di matrice cattolica. In politica interna- in un flash- non possiamo dimenticare che è stato l’artefice del compromesso storico con il Partito comunista italiano di Enrico Berlinguer, con il quale stava imbastendo la via diretta all’affermazione del principio della democrazia dell’alternanza…ma tutto -ad un tratto- si sospese in una prima stazione, quella di via Mario Fani - il 16 marzo 1978- e tutto si fermò definitivamente in un’ultima stazione della via crucis della nostra Repubblica, quella di Via Michelangelo Caetani -il 9 maggio 1978- in cui la follia terroristica, il piombo delle P38 misero il sigillo più tragico, più drammatico e più triste che l’Italia ricordi. Il corpo esamine dello statista democristiano, raccolto nella sua personale e tipica mitezza cristallina che emerge dal vano della Renault 4 rossa, resta un’immagine indelebile ed un dolore infinito per i nostri cuori. Il sangue di Aldo Moro versato in quel 9 maggio di 44 anni fa e prima quello della sua scorta il 16 marzo ha pagato per l’Italia tutta. Via Fani e via Caetani, icone di un riformismo interrotto, di una democrazia incompiuta, di una speranza spezzata sono stati e resteranno le linee di demarcazione di fondo che hanno letteralmente cambiato e stravolto la storia -in un prima ed in un dopo- di tutto ciò che è stata la politica interna ed estera italiana, di tutto ciò che sarebbe stata la vita quotidiana e democratica del paese e dell’evoluzione della società stessa. Ma torniamo al Moro europeista, al suo pensiero e alle sue azioni. Da ministro degli Esteri e da presidente del Consiglio dei ministri -a cavallo tra il 1969 e il 1976- e da presidente di turno della Cee ( Comunità economica europea- oggi Consiglio europeo-) nel 1975 egli diede- nella politica estera- un approccio umano, attraverso il coinvolgimento del maggior gruppo di collaboratori e dirigenti della Farnesina perché per lui il dialogo e la condivisione dei valori dovevano essere il faro della politica estera e non i rapporti di forza tipici di molti diplomatici del tempo, alla Kissinger per fare un esempio. Comprendendo con lungimiranza quanto fosse problematica la divisione in due blocchi del mondo e dell’Europa nello specifico, Aldo Moro spinge l’Italia e l’Europa al dovere storico di contribuire autonomamente ad una politica della distensione, tant’è che si rende promotore -nel 1971- del riconoscimento della Cina comunista, favorendone l’ingresso nelle Nazioni Unite. L’Italia deve allo statista democristiano il riconoscimento di un maggiore ruolo e prestigio nelle istituzioni europee, basti ricordare quando per la prima volta ottenne la designazione -nel 1970- alla Presidenza della Commissione europea dell’on. Franco Maria Malfatti.
I migliori capolavori di Aldo Moro, se vogliamo usare un’espressione più affine al linguaggio del nostro tempo, li ritroviamo nel 1975, quando in qualità di Presidente di turno del consiglio della Cee contribuirà sostanzialmente alla conclusione dei lavori della Conferenza di Helsinki (iniziata nel 1973) per la cooperazione e la sicurezza europea dedicata alla promozione di una politica di riavvicinamento tra i due blocchi europei, quello occidentale dell’ovest/atlantista e quello orientale dell’est/comunista. Nell’atto finale i 35 paesi partecipanti, dando l’avvio dei primi passi per il superamento della “ Guerra fredda” e della “Cortina di ferro” che aleggiava in Europa e che avrebbe fatto poi da apripista alla caduta del muro di Berlino, firmarono le Raccomandazioni finali con le quali si gettarono le basi delle nuove relazioni internazionali fino alla nascita dell’Unione Europea di Maastricht del 1992, che avrebbe previsto una nuova cittadinanza europea, maggiori poteri del parlamento e il varo dell’Unione economica e monetaria. Tornando ai contenuti dell’Atto di Helsinki (che non aveva la veste giuridica quindi non rappresentava un obbligo verso gli Stati ma era solo un atto di indirizzo e di impegno politico) bisogna ricordare quello del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, dell’inviolabilità dei confini e ribadiva l’obbligo politico dei paesi europei di risolvere pacificamente i conflitti. L’obiettivo era scalfire la “Realpolitik” fondata sul principio dell’equilibrio di potenza a discapito degli ideali di libertà, di democrazia, dei diritti umani e delle posizioni delle opinioni pubbliche. Nel suo intervento il presidente Moro così dichiarava: “abbiamo cercato di riconoscere ma non di cristallizzare la realtà, affinché siano lasciate aperte le vie per una evoluzione pacifica, in conformità della libera volontà dei popoli, dei rapporti tra i nostri Stati”. Era un forte sostenitore della libertà di autodeterminazione dei popoli per via democratica e sulla pace il suo pensiero è ancora attuale: “essere convinti che il massimo interesse del nostro popolo è che la pace prevalga nel mondo, nel continente europeo e nel Mediterraneo, non vuole d’altronde dire che noi dobbiamo rinunciare alla difesa intelligente ed equilibrata dei nostri interessi”…e ancora “ non tutto dipende da chi immagina e realizza la politica internazionale dell’Italia ma molto risulta da quel che il Paese è nel suo insieme”. Coniugare la visione di politica interna con la visione di politica estera è stato uno degli insegnamenti più alti, che ci ha lasciato. Il secondo capolavoro lo si deve -nello stesso anno- alla sua maestria diplomatica nel aver saputo gestire i lavori del Consiglio europeo, svoltosi a Roma. Qui verrà messa la pietra miliare che avrebbe portato nel 1979 alla prima elezione a suffragio universale diretta del Parlamento europeo e venne stabilita l’istituzione del passaporto unico europeo che fece -poi- da batti strada alla libera circolazione delle persone. Nei suoi numerosi interventi risalta anche un principio di pensiero federalista, quando parla di una vocazione europea connaturale al popolo italiano, alla quale si unisce in larga misura un’autentica vocazione federalista, in linea con lo spirito del Manifesto di Ventotene di spinelliana memoria che tante difficoltà ebbe nel consolidarsi nel nostro continente.
Difficoltà che per il leader democristiano dovevano essere una sfida per il raggiungimento dell’obiettivo: la compiutezza dell’Europa. “Vivere con piena consapevolezza il passaggio da una fase nazionale ad una fase autenticamente comunitaria ed unitaria nel nostro continente”. Solo pochi giorni fa a Strasburgo il premier italiano Mario Draghi è tornato proprio sul concetto moroteo di riprendere il filo di un federalismo pragmatico (praticamente Stati federati d’Europa) ed in parallelo di un federalismo ideale nell’ambito della difesa e dell’affermazione dei valori europei. Europeismo, federalismo ma anche consapevolezza -in Moro- dell’importanza di restare atlantisti nella forma e nella sostanza: “l’articolazione in un nucleo europeo dell’Alleanza Atlantica significa la voce dell’Europa, la voce di questa civiltà europea occidentale che si esprime e si fa valere nella comunità di popoli liberi, acquisendo forza economica, sociale, politica ed anche militare”. Eravamo solo sul finire degli anni “50” e agli inizi degli anni “60” quando indicava queste straordinarie linee portanti di politica estera; alleanza atlantica e solidarietà europea intesa come integrazione democratica, economica e politica, frammenti preziosi per un nuovo futuro europeo. Di fronte agli odierni scenari di guerra che colpiscono – dal 24 febbraio- l’Ucraina, mai quanto adesso si avverte la mancanza di un fine uomo, politico, visionario e illuminato europeista dal nome Aldo Moro, che del dialogo tra le diverse culture, del rispetto del pluralismo delle idee e della sintesi politica “alta” ne ha fatto una ragione morale e di vita. Queste sue doti, queste sue capacità ineguagliabili avrebbero certamente contribuito a risolvere il conflitto bellico in atto, in un tempo più rapido.
Ma l’originale resta sempre l’originale, l’unico. Questa mancanza, questa sua assenza ci porta ancora qui a parlare di sanzioni alla Russia e divisioni tra gli Stati delle Ue, di missili, di stragi, di strategie, di bombe, di vittime innocenti, di corridoi umanitari apparenti, di tregue possibili, di negoziati reali da avviare …in pratica ci porta a testimoniare la nostra quotidiana impotenza. Con la guerra nel cuore dell’Europa, il 9 maggio -giorno della sua Festa- suonare l’inno alla Gioia sembrerebbe poco appropriato. Forse -oggi- la dedica più bella sarebbe che tutti gli Stati ed i loro cittadini rivolgessero -unitamente- il pensiero, dipingendosi lo spirito ed il coraggio delle azioni con i colori della resistenza giallo e blu della bandiera Ucraina…che è anche Europa, la nostra Europa, il nostro comune destino!
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