“Le figlie del vento”, il 7 marzo alla Ubik la presentazione del libro dell'avvocato Giuseppe Aiello

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images “Le figlie del vento”, il 7 marzo alla Ubik la presentazione del libro dell'avvocato Giuseppe Aiello
Copertina del libro Le Figlie del vento di Giuseppe Aiello
  28 febbraio 2020 16:26

“Le figlie del vento” di Giuseppe Aiello, scrittore e poeta calabrese, è il titolo del libro che verrà presentato il prossimo 7 marzo alle 17,30 presso la libreria Ubik di Catanzaro Lido. Il volume è edito da Calabria Letteraria Editrice, marchio del gruppo editoriale Rubbettino. Si tratta di una casa specializzata nella pubblicazione di libri sulla Calabria o comunque scritti da autori calabresi.

Banner

L'avvocato-scrittore Giuseppe Aiello

Banner

In questo progetto editoriale una parte di legnanesità arriva dalla copertina del volume, firmata dall'artista Pietro Pinnarò, originario di Palermiti, ma che vive e lavora a Legnano da 40 anni. Le sue opere sono presenti in gallerie, collezioni pubbliche e private in Italia, Svizzera, Stati Uniti d'America, Canada, Francia, Germania, Cina e Giappone. 

Banner

Di seguito la prefazione del libro a cura di Franco Cimino

“Le figlie del vento “ mi hanno rapito, il romanzo che ne parla mi ha rapito. È davvero un bel racconto in cui c’è tutto. C’è innanzitutto l’autore, Giuseppe Aiello, anzi Pepé, per come lo chiamano i familiari e gli amici. In ogni pagina trovo questa personalità piena, carica di sensibilità e quell’ingegno sempre sospeso tra conservazione e modernità. E quella sua cultura di umanista, fortemente affascinata dal mondo classico e dalla mitologia greca. La sua presenza invisibile si tocca però con mano mentre racconta la storia di una terra tanto amara quanto bella, da sempre bloccata da chi non l’ama e la vuole sfruttare. E da chi pensa di mantenerla feudo, o colonia, o territorio senza legge e senza autorità se non quelle imposte dai diversi padroni, che nelle varie guerre politiche( di quella brutta politica) o di ‘ndrangheta, che spesso vede le prime a sostegno o soggette alle seconde, se la sono contesa. E se la contendono ancora. Giuseppe Aiello, l’anima che inquieta si muove nel libro, nella storia madre racconta tante altre storie.

Sono storie di vita, individuale e familiare, colpite dalla sfortuna o dalla cattiveria che gli si muove contro, come un uragano spesso, che ne modifica il corso. O come la morte, che crea il vuoto ma non rovina, se il vuoto sarà riempito da nuova speranza. Storie all’interno delle quali giganteggiano i protagonisti, tutte figure ben celebrate in ogni tratto della loro umanità, ciascuna con quella dignità ritrovata in forza del riscatto dal peccato e dalla colpa. Li riscatta l’Amore, la forza che pervade tutta la narrazione. Questo romanzo si ubriaca d’Amore e di esso inebria il lettore. Attraverso il sublime sentimento, la vita viene esaltata in tutta la sua grandezza, anche quando, nel tempo in cui si forma e per le condizioni difficili in cui viene concepita, essa subisce le minacce delle paure e dalle convenzioni sociali come dall’ignoranza. La vita è esaltata anche quando sembra sia andata perduta nelle oscurità del vivere e nelle sconfitte esistenziali. Ovvero, nel passaggio crudele della morte giovane, che trasforma il dolore più ingiusto in un momento solenne di riconciliazione con l’eternità, cui l’anima è destinata, e con l’esistenza recuperata di chi resta. Se si parla d’Amore e di vita, è inevitabile che si parli della Donna. Aiello lo fa con una tenerezza e una mano direi quasi femminile.

La Donna è l’altra protagonista del romanzo. L’autore la racconta attraverso le storie di quattro donne: Caterina, la mamma che invecchia non opponendosi mai al destino, ma sempre lottando e faticando e sacrificando tutto di sé, giovinezza e bellezza comprese; la di lei figlia Filomena, Mena, la donna per eccellenza del racconto, che subisce quasi come una colpa o un danno quella bellezza statuaria che la fa ammirare e desiderare da tutti, ma che, tuttavia, si concede pienamente solo nelle due volte in cui si è innamorata; Giulia nata dal rapporto “ sbagliato”(?) di Mena con un uomo tanto bello quanto impossibile. Poi ci sono Valeria e la piccola Federica, la marchesina Vittoria e Graziella, apparentemente sullo sfondo, e però egualmente importanti per descrivere la grandezza dell’animo femminile. Qui l’autore dimostra una certa maestria, propria dei grandi scrittori. In particolare, quelli di teatro. Ricorda Edoardo De Filippo, che assegnava ai personaggi cosiddetti minori una loro centralità senza la quale una stessa scena, una stessa parte del racconto non avrebbe avuto senso. Di certo, non la stessa forza espressiva emanata da quei soggetti. Ma è lungo il rapporto di odio-amore tra Mena e Giulia, nella forza vendicativa di far male e farsi male di quest’ultima, che la storia della Donna diventa cammino di salvezza per tutti. Anche per gli uomini, qui raccontati, che alla storia complessiva partecipano pensando di essere, volontariamente e non, sempre gli artefici di ogni destino.

In questo romanzo trovo l’autore anche nella scrittura. Essa è fine, semplice, umile, amicale. Pepé, uomo della parola, l’intellettuale che ama la parola aulica, dotta, nutrita di liricità e classicismo, qui si serve della semplicità espressiva per rendere il romanzo di facile lettura. Egli ha una voglia incontenibile di raccontare e raccontarsi, gli interessa che i lettori conoscano ciò che forse non è tutta invenzione della mente fertile dello scrittore; conoscano a fondo tutti quei personaggi, che forse, con nomi e in luoghi diversi, saranno realmente vissuti. Per questo suo stile leggero ed elegante, con il quale tratteggia figure e ambienti familiari e paesaggi naturali come fossero fotografie di un dimenticato album. Il libro si legge agevolmente tutto d’un fiato.

Il ritmo della narrazione è incalzante e mutevole. In un solo pugno di pagine lo trovi rapidamente modificarsi. Te ne accorgi dal ritmo del cuore che ad esso si sintonizza. A volte è piano e delicato, a volte si fa veloce e duro. Quando si quieta è per farti respirare, allentare la forza del fuoco delle emozioni che salgono da ogni scena, che l’autore accuratamente prepara come fa un drammaturgo o un regista cinematografico. Quando rallenta è per farti pensare, meditare su ciò che sta accadendo davanti a te, già trascinato nel racconto con quella impetuosa forza narrativa, che solo gli scrittori veri sanno impiegare. “Le figlie del vento “ è un libro per tutti, anche se alcune pagine sono così cariche di erotismo da consigliarne la lettura a un pubblico adulto. Tuttavia, anche in quelle pagine vi è una sorta di poesia quando racconta la bellezza dell’amore dei sensi, e cioè dell’incontro inevitabile tra sentimenti e sensualità, tra corpo e anima.

“Le figlie del vento”, è storia per tutti. In essa c’è la descrizione accurata della società calabrese, che scorre lungo il trentennio che dai primi anni settanta giunge fino agli inizi del duemila. C’è la politica di allora, che sembra essere cambiata solo nel contesto ma non nella sostanza, con figure al suo interno sempre più misere e mediocri e perciò più esposte alla corruzione e alla commistione tra affari e interessi elettoralistici. C’è la denuncia di questa, ma anche di quei luoghi dove l’esercizio corruttivo del potere addirittura cambia il volto di alcuni giudici e avvocati che offendono la sacra toga, violando la purezza della propria funzione, allo scopo di raggiungere più potere, attraverso il gioco più antico che intreccia i soldi e il sesso con le belle donne, da comprare o da cui farsi comprare. C’è la ‘ndrangheta con il vecchio capo bastone e i nuovi capi e la crescente capacità di infiltrarsi nelle istituzioni, per dettare le proprie regole alla politica e alla economia, sempre più indebolita da un falso mercato e da falsi “mercanti”.

In queste pagine, scritte molto prima degli ultimi drammatici accadimenti giudiziari, l’autore si mostra non solo acuto anticipatore della realtà, ma anche profondo conoscitore dei diversi motivi culturali e sociali, che quei fatti hanno determinato. Lo sguardo su questa intera realtà è quello in qualche modo di un sociologo e di un analista sociale attento e informato. Quello sulla varia umanità raccontata, sui singoli personaggi in essa rappresentata, è invece lo sguardo di uno psicologo che scava nella profondità dell’animo umano per liberarlo da frustrazioni ataviche. Potrei continuare ancora a dire delle tante cose che mi hanno interessato di questo romanzo  e che il lettore di certo vi troverà dentro. È bene che anche per lasciargliele intatte qui io mi fermi. Ma non senza aggiungere una piccola caratteristica che mi sta molto a cuore.

Questo è un libro sui vinti che non perdono mai, perché l’umanità di cui si compone essenzialmente l’essere umano, trova sempre in se stessa o nella grazia, nella buona sorte o nella Provvidenza, la via della salvezza.

 

 

 

 

 

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner