Avrebbero gestito i ristoranti appartenenti alla nota catena di 'giro-pizza' Tourlé, marchio "in franchising", nel nord Italia con "meccanismi propri della criminalità organizzata nella gestione delle attività commerciali", attraverso intimidazioni, prestanome, professionisti, e al "vertice" ci sarebbe stato Giuseppe Carvelli, pluripregiudicato per narcotraffico "vicino" alle cosche calabresi.
Lo scrive il giudice per le indagini preliminari di Milano Natalia Imarisio nell' ordinanza sul blitz che stamattina ha portato a 9 arresti.
Le indagini hanno infatti fatto luce sugli interessi di soggetti contigui a cosche calabresi che reinvestivano denaro frutto di attività illecite, con immissione di grandi capitali nel circuito della grande ristorazione nel Nord Italia. Sequestrati beni per oltre dieci milioni di euro, tra cui quote societarie di alcuni ristoranti appartenenti alla nota catena di “giro-pizza” Tourlè .
Nell'ordinanza si legge che Carvelli, ora tornato in carcere, "con fine pena al 2026" quattro anni fa è stato ammesso "al lavoro esterno" alle dipendenze di una cooperativa a Bollate (Milano) e dal marzo 2017 beneficiava "dell'affidamento in prova ai servizi sociali".
L'attività imprenditoriale nella ristorazione della presunta associazione per delinquere capeggiata da Carvelli, smantellata dalle indagini della polizia, coordinate dal procuratore aggiunto della Dda milanese Alessandra Dolci e dal pm Sara Ombra, sarebbe stata portata avanti tramite le "società Jenever prima ed Heigun poi" e per il tramite di Marco Bilotta, "insieme al socio Luigi Cannella".
L'inchiesta ha documentato gli "sviluppi" delle attività della banda "in espansione" fino "all'apertura" anche di un locale a Torino, oltre alle pizzerie del marchio già presenti nell'hinterland milanese e non solo. L'apertura del ristorante-pizzeria a Torino, scrive il gip, ha "determinato il trasferimento" di una persona "nel Nord Italia per curare le incombenze relative sotto la costante direzione" di Carvelli, a cui erano riconducibili, in pratica, i ristoranti a marchio Tourlé e che dimostrava la sua "indiscussa autorità". C'era un "chiaro riconoscimento di posizioni in ordine gerarchico (sotto Carvelli il socio Francesco Bilotta, ndr)".
Il gip segnala anche la "raffinatezza degli strumenti giuridici adottati", tra cui la "costituzione di nuove società e successioni nelle rispettive compagini" e l'utilizzo "del marchio Tourlé", come quello continuo di "prestanome" e il ricorso "sempre agli stessi professionisti di comprovata fiducia", tra cui un notaio di Garbagnate Milanese. Carvelli, tra l'altro, rivendicava "il suo 'livello criminale', che gli ha assicurato la buona accoglienza a Torino da parte del 'livello superiore'" e si metteva, spiega sempre il gip, ad intimidire anche i dipendenti quando serviva".
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