Due grandi discorsi quelli cui abbiamo assistito ieri, pronunciati dal presidente Mattarella e dal Papa, che inducono speranza e riflessione profonda nel pieno della durissima prova che stiamo vivendo. Il presidente della Repubblica nel suo messaggio alla Nazione ha posto, senza infingimenti e con la forza della sua autorevolezza, un monito chiaro e perentorio all’Unione Europea: la stessa, ha detto, “superi vecchi schemi ormai fuori dalla realtà” e proceda senza esitazione a mettere in campo un’azione comune di sostegno prima e di rilancio poi della economia europea e dei singoli Stati. Un’azione che non ammette indugi e tentennamenti di sorta, “prima che sia troppi tardi” ha sottolineato perentoriamente il presidente della Repubblica.
La drammatica situazione attuale svela, dunque, al di là di ogni contrapposizione anche del recente passato, la vera natura dell’irrisolto nodo europeo: o l’istituzione sovranazionale si “umanizza” e pone alla base delle sue decisioni la concreta condizione dei popoli che la compongono, orientando coralmente le complesse dinamiche macroeconomiche al sostegno degli stessi e non alla proliferazione delle dorate oligarchie di comando e del profitto “ideologico” massimizzato in maniera parossistica, ovvero essa sarà destinata ad un inesorabile tramonto. Del resto, gli egoismi europei già ampiamente manifestatisi di fronte alla epocale stagione migratoria ancora in atto - risultante delle abissali diseguaglianze planetarie - ci hanno già posto drammaticamente (nel nostro Paese più che altrove) di fronte alla urgenza di comuni politiche sociali di solidarietà e di integrazione degli Stati membri ed alla necessità che l’azione europea non sia esclusivamente fondata - quasi come un moderno credo pagano - sulle algide e meccaniche strategie finanziarie ed economiche.
Se si fallirà anche questa volta – come si è fallito per l’appunto nel governo della eccezionale emergenza migratoria di questi lunghi anni – ogni petizione di principio che si appelli alla comune “casa” europea non avrà più senso e ragion d’essere, riducendosi, ove mai fosse riaffermata, ad una incomprensibile e caricaturale evocazione di concetti astratti. In questo senso, la parola autorevole, pacata e ferma del presidente della Repubblica (che non ha peraltro fatto mancare il suo pensiero partecipe a tutti i cittadini ed alle componenti sociali più intensamente impegnate nella assistenza ai malati e nel contrasto al micidiale virus), rappresenta una base fondamentale nella creazione della futura e ragionata proposta di riscatto della nostra società civile, anche e soprattutto nella interlocuzione con i partner europei.
Papa Francesco – figura imponente del nuovo secolo – ha dal canto suo richiamato (potrebbe dirsi in straordinaria seppur non voluta integrazione con le parole di Mattarella) la condizione dell’uomo fino ad oggi, fino cioè al deflagrare della moderna peste. “Abbiamo pensato di rimanere sempre sani in un mondo malato”, ha detto, ammonendo come l’umanità intera non si sia “ridestata di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non ascoltando il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato”.
Una descrizione centratissima ed implacabile della condizione contemporanea del genere umano - ripiegato sulla disperata ed infinita rincorsa al benessere ed alla materialità e dimentico di tutto il resto - accompagnata da una esortazione di grande profondità volta a concepire un nuovo ordine delle cose fondato su una diversa scala di valori, che l’umanità progredita conosce già ma che pare da tempo aver smarrito. Nel livore di una piazza San Pietro battuta dalla pioggia e totalmente vuota (mai scenario fu più drammaticamente solenne!) il Papa ha declinato, dall’alto del suo pulpito, una sorta di rinascimento dell’umanità, richiamandola alla responsabilità della sua condizione e del suo destino prossimo. Se siamo oggi fragili e disorientati, come egli ha giustamente detto, la strada che si aprirà dopo la tremenda prova non potrà che essere costruita su una dimensione diversa e sulla consapevolezza della necessità di un nuovo agire collettivo, ad ogni livello.
Ed è questa, allora, la scommessa che ci attende già nell’immediato futuro, allorquando la tempesta improvvisa e violenta che ci ha travolto sarà passata: vivere il nostro tempo con gli occhi dell’uomo che guarda l’uomo, giacché l’orizzonte davanti a noi o è di tutti o non è di nessuno. Nella prospettazione laica e politica delle parole del presidente Mattarella, così come in quella religiosa e spirituale delle parole di Papa Francesco, è questo l’identico messaggio che, pur su piani diversi, ci raggiunge. Se si avrà la forza di un cammino comune su questa strada, la speranza di un mondo migliore, usciti dalla solitudine delle nostre paure, non sarà una chimera.
Aldo Casalinuovo
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