di STEFANIA PAPALEO
Aveva solo 1 anno quando, nel lontano 1972, fu sottoposto a trasfusioni di sangue presso l'ospedale civile di Catanzaro. Risale al 2013 il verbale con il quale la Commissione medica ospedaliera/Dipartimento militare di Medicina legale gli ha riconosciuto la contrazione dell'Epatite C proprio a seguito di quelle trasfusioni. Ora, a distanza di 48 anni, è il Tribunale di Catanzaro, rappresentato dal giudice Wanda Romanò, a condannare il Ministero della Salute a versargli una somma pari a 210mila euro, in accoglimento della richiesta di risarcimento dei danni proposta nel suo interesse dall'avvocato Francesco Pitaro.
Il legale, carte alle mani, ha sostenuto innanzitutto il difetto di legittimazione passiva della Regione Calabria e dell'Azienda ospedaliera "Pugliese-Ciaccio" di Catanzaro, in quanto all'epoca dei fatti la normativa in vigore imponeva al Ministero della Salute obblighi di controllo, direttiva e vigilanza sul sangue umano e i suoi derivati. E, supportato dal Ctu nominato durante la causa, ha dimostrato l'esistenza del nesso causale tra le trasfusioni del 1972 e la patologia epatica da HCV "essendo soddisfatto il criterio cronologico, il criterio della continuità fenomenica e il criterio di esclusione di altre cause, non essendo emersa la presenza di altri fattori di rischio di infezione da HCV.
Da qui la conclusione del giudice che fu proprio quella trasfusione a causare il danno biologico permanente in questione, con tanto di sofferenze fisiche e psichiche, che hanno alterato lo stile di vita del ricorrente, come testimoniato dai suoi familiari, con un danno quantificato dal giudice in 210mila euro, comprensivi della mora maturata sul ritardo del Ministero, così come sollecitato dall'avvocato Pitaro.
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