L'intervento. Maurizio Alfano: "Non siamo tutti sulla stessa barca.."

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Maurizio Alfano
  16 aprile 2020 14:45

di Maurizio Alfano

Se è la barca dei migranti, no, non siamo tutti sulla stessa barca, tutt’altro. Se è la barca dei migranti è manifesto come sia un modo di dire che affonda con il suo carico di carne umana mentre anziché correre per trarli in salvo, si rincorrono codicilli e carte nautiche per stabilire le eventuali competenze territoriali di intervento. Un modo insomma per ammazzare il prossimo in maniera altra.

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Ed ancora una volta, almeno così appare, non si riesce a comprendere che il problema non sono gli uomini che si muovono, ma quello di assicurare loro ogni possibilità di sopravvivenza. Sembra stridente almeno così dovrebbe apparire, in questo momento poi, ancora di più, avere concezioni differenti, a volte contrapposte addirittura su un principio appena svelato per il tramite della resurrezione di quel Cristo tornato a vita dopo essere stato tradito perché predicava forme universali di amore e di pari opportunità, ovvero  forme di lotte continue necessarie alla sopravvivenza di ognuno di noi. Lui poi, che veniva dal mare, che camminava sulle acque, che pescava, che conosceva il mare e le sue infinite rotte verso altra vita. Ed invece mentre predichiamo in maniera laica che tutto andrà bene, in maniera religiosa che nessuno si salva da solo, ecco riapparire, riemergere dagli abissi, da quel mare in tempesta che ci porta la vita attraverso i migranti scampati al naufragio, che trattiene a se i corpi dei tanti cristi neri morti nel giorno della resurrezione –  la retorica che essi, i migranti, vivi o morti che siano, sono un problema e per questo si chiudono i porti, mentre nei nostri aeroporti sbarcano aiuti, medici ed infermieri provenienti dal resto del mondo poiché nessuno si salva da solo, soprattutto noi. Tutti abbiamo bisogno di aiuto, ma questo non vale peri migranti, almeno così si è tornati a predicare dall’opposizione, mentre altri, al Governo, assumono atti che vanno per la negazione del principio universale del mettere in salvo chiunque scappi da guerre, persecuzioni o intrappolato che sia in una casa perché assediato non dall’invasione dei migranti, ma da una pandemia che ha iniziato viaggiare e contagiare il mondo dal confort degli aerei in business class. Non si è ancora spento l’eco di essere additati come untori del terzo millennio, che già siamo ritornati ad essere quelli di prima, peggio.

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Non c’è davvero pace nel giardino degli ulivi. Non c’è davvero pace nei giardini dell’anima fin quando l’aridità del nostro tempo continuerà a seccare ancora ogni possibilità di incontro tra uomini e donne, popoli di ogni angolo del mondo che appartengono però al medesimo genere umano, quale evoluzione della specie animale dalla quale forse dovremmo presto tutti tornare ad imparare. Ecco dovremmo tornare ad osservare la vita degli animali e comprendere come sia a loro intima la necessità del migrare e che in assenza di questa condizione messa sotto attacco dai mutamenti climatici in atto, alcune di loro come specie animale siano a rischio estinzione. È da mozzafiato seguire le migrazioni delle oche indiane che volano ad altezze superiori agli aerei, delle megattere che migrano dall’Oceano Pacifico meridionale all’Oceano Atlantico, delle farfalle monarche, delle gru o osservare l’arrivo delle cicogne. Tutto ci indica la necessità del migrare come forma di esistenza e resistenza. Un altro viaggio affascinante per la tecnologia che impiega è la migrazione delle merci che si spostano da un capo all’altro del mondo attraverso sofisticate piattaforme logistiche. Ecco tutto ha necessità di muoversi, il nostro fisico, i nostri pensieri, ma quando a muoversi sono loro, i più poveri, gli scarti umani, il surplus del nostro stile di vita, allora tutto cambia, anzi si ferma, si pietrifica. Viviamo nel tempo della libera circolazione delle merci e non degli esseri umani, ovvero di parte di essa, i migranti appunto. A loro è impedito migrare, muoversi, trovare riparo, è impedito e reciso l’istinto primordiale di spostarsi proprio lì dove ci sono le condizioni minime di sopravvivenza della propria specie, proprio come fanno gli animali appunto e come hanno sempre fatto in ogni tempo gli italiani, che insieme agli uccelli sono tra le specie viventi maggiormente migratorie.

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Quando si tratta dei migranti si capovolge la verità, si inquina la capacità dell’osservazione, che nella sua rigorosa metodologia è l’unica via per comprendere le cose. Si capovolge addirittura in questa direzione anche l’essenza delle questioni da affrontare e nel nostro caso, per esempio, la morte di un giovane migrante finito sotto le ruote del camion al quale si era aggrappato per arrivare in Italia viene trattata come l’ennesima vittima del sistema dell’immigrazione clandestina – anziché affrontarla come l’ennesima vittima della mancata libera circolazione degli esseri umani. Ed ecco in questa direzione allora, mentre invochiamo la prossimità, decantiamo la solidarietà dai balconi che ai barconi è impedito l’attracco. Mentre questa pandemia avrebbe dovuto portarci ad essere più vicini agli altri – ecco inventarci politiche non di distanziamento sociale, ma di riconfinamento razziale, perché così appaiono. Per non apparire politicamente scorretti si pensa così a forme di quarantena galleggianti che riprendono una vecchia idea mai sopita di fare degli hotspot [luoghi di confinamento e reclusione sociale dei migranti] in attesa come delle merci di sapere dove essere stoccati, ovvero quale Paese europeo disposto a farne uso. Perché i migranti servono e per essere sfruttati economicamente, e politicamente. Pensate se non ci fossero, non ci sarebbero anche alcuni leader europei di partiti sovranisti. Mentre dovremmo sentirci tutti più vicini ecco palesarsi invece idee come quella di campi profughi per contenere le ondate dei migranti –che non hanno mai prodotto danni –come le ondate del Covid 19 nei Paesi prossimi a quelli di esodo come già sperimentato con i campi di torture e stupri della Libia. Ancora non siamo sazi delle grida sofferenti di uomini e donne flagellate come quel Cristo appena risorto?

La rappresentazione della crocefissione con le braccia aperte di quel profugo morente sono l’apertura verso l’altro, sono la forza mai doma di accogliere in un abbraccio seppur sofferente ogni uomo e donna, ogni fratello e sorella. Sono quella braccia aperte un’invocazione lasciata a futura memoria di tenere i cuori e i porti aperti. Sempre.

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