L'intervento. Maurizio Alfano: "Quando sbarcare accomuna migranti ed italiani"

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images L'intervento. Maurizio Alfano: "Quando sbarcare accomuna migranti ed italiani"

  27 luglio 2020 14:58

di MAURIZIO ALFANO

C’è chi tenta di sbarcare da un gommone e chi tenta di sbarcare il lunario.

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Ma prima ancora, occorre imbarcarsi. Ed ecco chi straniero imbarcarsi su un gommone alla disperata ricerca di potere sopravvivere, e chi autoctono imbarcarsi in condizioni di lavoro sempre più precarie per poter sperare anch’esso di sopravvivere. Ma prima ancora di imbarcarsi occorre una barca, ed ecco che gli stranieri, i migranti, pur di conquistarsi un posto su un barca magari nella stiva ammassati uno sopra l’altro con la nafta che li copre sono pronti a passare tra torture indescrivibili e a farsi debiti, e chi autoctono, salire metaforicamente su barche che attraversano il mare agitato di un capitalismo pronto a rovesciare ondate di crisi pilotate, licenziamenti, cassa integrazione e ristrutturazioni aziendali dove gli ultimi, come quelli ammassati nei call center per esempio, diventano simili a quelli ammassati nelle stive - buttati a mare  anche loro poiché ridefiniti corpi a perdere indebitati anch’essi con finanziarie e prestiti personali. Dunque privi della qualità di essere – esseri economici attivi – vanno ammassati i primi come i secondi in discariche umane, come rifiuti forse riciclabili, poiché è importante lasciare sperare i disperati. È questa l’arma sofistica del capitalismo che così abbassa la soglia della tentazione delle rivolte, delle rivoluzioni, delle armi della cultura.

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Dunque sia i migranti, che gli autoctoni, hanno in comune il mare. Il mare delle discriminazioni, delle vessazioni, dell’inabissamento dei diritti umani e delle mancate tutele sindacali. Sono entrambi, se sopravvivono, naufraghi  che esprimono medesime opposizioni a modelli di sfruttamento degli esseri umani che con forme diverse si manifestano in ogni parte del mondo dove il capitale finanziario si radica. Ed allora dopo essersi imbarcati in situazioni precarie siano esse concrete come i gommoni dei migranti o come le condizioni di lavoro sfruttato dei lavoratori italiani è necessario differenziare gli scarti umani e per questo sbarcare diventa sempre più difficile, anzi incontra sempre maggiori e diffuse resistenze con riferimento ai migranti, ai gommoni poiché per ingannare gli italiani tagliati fuori da condizioni di vita dignitose che non coincidono sempre con l’avere un lavoro se il prezzo da pagare è l’alienazione ed un futuro ipotecato si dice, si grida, si invoca il respingimento dei migranti poiché non possiamo accoglierli tutti noi. Ma quello che si omette di dire, peggio quello che si omette di comprendere è che queste posizioni sovraniste nascondono e per intero la realtà, ovvero una sorta di opposizione delle popolazioni autoctone a smaltire i rifiuti che vengono da altre Regioni. Ecco l’inganno, ideologismi scellerati che invocano che i migranti siano trattati come spazzatura umana e ritornino nei luoghi di origine, che vengano smaltiti altrove, poiché noi dobbiamo pensare alla nostra di spazzatura umana. Ma questo si nasconde, si omette. Si parla di povertà assoluta, di povertà relativa, di nuovi poveri, di povertà educativa, di anaffettismo e suicidi, disaggregando tutti questi dati per rendere più difficile in questa direzione la comune matrice economica – capitalistica quale causa originaria. Ecco, questa è la chiave di volta, comprendere che il mare  non ci porta invasioni, ma ci restituisce l’opportunità di ridefinire i concetti ed i contorni della dignità umana, sempre più compromessa nella opposizione agli sbarchi che nasconde il collasso ed il fallimento di un’economia mondiale che sedimenta la sua essenza esclusivamente nella ricerca ossessiva del profitto. Dobbiamo per questo evitare di imbarcare luoghi comuni e di sbarcare forme violente di opposizione al genere umano. E tanto più difficile sarà sbarcare, tanto più  difficile sarà riappropriarci della nostra dimensione umana che rimane l’unica capace di farci ragionare, lottare e sperare non come disperati, ma come fidenti prima di tutto verso noi stessi.

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