L'INTERVISTA. Monica Guerritore domani al Teatro Comunale di Catanzaro: "Il mio spettacolo sarà un viaggio interstellare"

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images L'INTERVISTA. Monica Guerritore domani al Teatro Comunale di Catanzaro: "Il mio spettacolo sarà un viaggio interstellare"
Monica Guerritore
  19 febbraio 2020 07:56

di CLAUDIA FISCILETTI

Un viaggio suggestivo nell’animo umano, questo sarà lo spettacolo che Monica Guerritore metterà in scena domani al Teatro Comunale di Catanzaro. “Dall’Inferno all’Infinito” è un evento nel cartellone della stagione catanzarese di AMA Calabria, ed è scritto e diretto dall’attrice italiana che metterà in luce alcune delle opere più importanti del panorama letterario, partendo da Dante Alighieri, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Patrizia Valduga, Gustave Flaubert, Victor Hugo per poi arrivare all’ “Infinito” di Giacomo Leopardi. Monica Guerritore, nata a Roma da padre napoletano e madre calabrese, ha debuttato a teatro all’età di 15 anni con Giorgio Strehler ne “Il giardino dei ciliegi” di Cechov, da quel momento la sua carriera attoriale ha preso il volo e si è arricchita con la sua esperienza da regista. Ha interpretato donne dalle personalità complesse tanto a teatro quanto al cinema ed in televisione, con cui è riuscita a toccare le corde dell’animo umano grazie alle sue performance. Al Comunale di Catanzaro porterà la sua magnetica forza narrativa ed espressiva.

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 Cosa si deve aspettare il pubblico che verrà a vedere “Dall’Inferno all’infinito”?

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"E’ innanzitutto una performance incandescente, il pubblico deve allacciare le cinture di sicurezza e farsi travolgere dalla bellezza di un viaggio interstellare che Dante fa all’interno dell’animo umano. Partirò dal I Canto della Divina Commedia e guiderò il pubblico verso il buio misterioso in cui Dante, la notte tra il 7 e l’8 aprile, comincia a scrivere e si addentra. “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura”, questa selva oscura è una discesa che io, aiutata dal grande psicanalista James Hillman, identifico in una sorta di viaggio all’interno dell’essere umano, all’interno della propria aria immaginaria che è l’animo e lì c’è la paura. Nel I Canto la parola paura viene ripetuta tante volte, in soccorso arriva Virgilio, poi la luce di Beatrice e poi l’amore carnale di Francesca. Lentamente per assonanze emotive, visionarie, non logiche andiamo a incontrare tante figure che abbiamo dentro di noi: l’amore sacro, l’amore profano, le cicatrici del cuore insieme alla Morante, insieme alla Valduga, l’amore impossibile per la madre di Pasolini, l’amore impossibile del padre per i figli nel Conte Ugolino. Il tutto accompagnati da una grande libertà musicale con musiche molto evocative e quindi è come un viaggio visionario, è come stare sul luna park in cui la gente dice “oddio dove sono stato?”. Il pubblico deve solo lasciarsi suggestionare".

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 Ha nominato la musica, quanto è importante questo fattore nel suo spettacolo?

"La musica, come in tutti i miei spettacoli, guida, anticipa l’emozione del pubblico. Più di una logica drammaturgica da saggio universitario, il mio è un lavoro che ha a che vedere con le sensazioni piuttosto che con la logica storica".

 Ha detto di non aver mai messo in scena lavori “finiti”, come mai?

"Nel senso che sono libera di poter inserire Madame Bovary ad un certo punto dello spettacolo. Lo dico anche al pubblico, posso passare dalle ferite d’amore di Pasolini, che era impossibilitato ad amare perché l’amore era quello della madre, alle cicatrici d’amore della Valduga, le stesse cicatrici d’amore che mi portano all’impossibilità di un amore reale come quello della Bovary. Quindi il desiderio di amore mai finito, mai concretizzato".

 Ricorda un po' il flusso di coscienza di James Joyce.

"E’ un flusso di coscienza però Joyce lo metteva in forma caotica, qui invece c’è una forma estremamente precisa, letteraria. L’arte si rappresenta attraverso la sua forma, poi l’insieme è caotico e quindi libero, pieno di suggestione, di sensazioni".

 Ha iniziato la sua carriera a teatro, poi ha recitato anche al cinema ed in televisione, ma il teatro sembra avere un posto particolare nel suo cuore.

"Dal ’74 non ho mai passato una stagione senza teatro. Il mio mestiere è le tavole del palcoscenico, è il sudore del palcoscenico, è il rapporto con il pubblico diretto, carnale. Spesso scendo in platea, sono abbracciata dal pubblico. Il teatro che faccio è come un concerto rock, non è un teatro freddo distante, distaccato, quindi soffro nella televisione e nel cinema perché non c’è questo rapporto corpo a corpo".

 Nella sua carriera ha interpretato donne di ogni tipo, complesse, dalle mille sfaccettature, ma c’è qualche donna in particolare che vorrebbe interpretare?

"Per adesso tutte le donne che mi sono venute in mente, che mi sono apparse nella mia immaginazione, sono state messe in scena. E’ come se arrivassero e volessero farsi rappresentare. Appaiono perché mi cade un libro dalla libreria, perché la notte mi sveglio e vedo Giovanna d’Arco. Adesso aspetto la prossima".

 E’ per metà calabrese, sua madre è nata in Calabria. Che ricordo ha di questa terra?

"Ho grandi ricordi della Calabria in cui trascorrevo tutte le estati, a Palmi, dove ho ancora tanti amici. Mio nonno era un grandissimo medico, Francesco Pintimalli. Un oncologo che fu l’unico europeo chiamato al capezzale di Evita Peròn quando si ammalò di leucemia. E’ stato il primo oncologo che ha istituito il “Regina Elena”, l’istituto per la ricerca sul cancro in Italia".

 Progetti futuri?

"Per adesso sto portando in scena “L’anima buona di Sezuan” di Bertolt Brecht. Uno degli spettacoli più applauditi di questa stagione che è stato ripreso dal mio maestro Giorgio Strehler. Andrò avanti con questo ancora per una stagione".

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