Lo scandalo del perdono: Lou Palanca torna in libreria con “Padre vostro”   

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images Lo scandalo del perdono: Lou Palanca torna in libreria con “Padre vostro”   

  28 aprile 2021 18:27

di EDOARDO CORASANITI

Immaginare di leggere “Padre vostro” di Lou Palanca (edito da Rubbettino), in libreria dal 29 aprile, e confrontarsi esclusivamente con la storia, tragica e irreversibile, di Francesco De Nardo potrebbe rivelarsi una chiave di lettura sbagliata o perlomeno limitante. Francesco De Nardo è il padre di Erika De Nardo, la ragazza di Novi Ligure che con il fidanzato Omar il 21 febbraio 2001 uccide a coltellate il fratello e la madre. La storia di questo libro parte da quel momento: nulla di ciò che è stato prima conta, è volato via in quell’istante in cui Erika distrugge una parte della sua famiglia. Lou Palanca, uomo-donna, singolare-plurale, bussa alla porta dell’anima di uomo qualunque, un uomo normale, che della sua normalità straordinario ne fa la sua luce. Non una persona che ha scelto di indossare i panni del supereroe ma un padre come tanti: distratto dal lavoro, timoroso nel dare un abbraccio, sordo al rumore delle grida interiori dei figli.

 Il racconto, lineare e veloce in una cornice di tempo lenta e sconvolgente come quella del Covid, entra in punta di piedi nella storia recente del nostro Paese per la linea sottile delle ombre che traccia.

Francesco De Nardo, padre silenzioso, è l’alter ego dell’uomo duro e puro che i media avrebbero voluto: sovraesposto, prigioniero delle immagini del suo dolore, cristallizzato magari in una autobiografia che ne descrive attimo dopo attimo i fotogrammi della vicenda e delle loro vite.  Invece, niente di tutto questo: dal 21 febbraio 2001 l’uomo di origini calabresi, nato a Maida, che vive a Novi Ligure si trincera in un silenzio stoico, in una sofferenza tacita e inamovibile. Lou Palanca ne segue le tracce ma alla fine hanno sempre la meglio l’amore, il perdono nei confronti della figlia che ha ucciso la moglie e l’altro figlio. Forse De Nardo è consapevole che mischiarsi con giornalisti e cameraman, taccuini e editori, non ne farebbe un testimone valido di come superare il dramma, ma solo un’altra faccia di un talk show e rischierebbe di “tradire” il patto di lealtà e fedeltà con la figlia. La protezione di un padre che non cede al ricatto di una vendetta celata o sussurrata.

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Con dei salti narrativi il testo viene arricchito da altre storie, altre prospettive del dolore e del modo di affrontarle. Un altro padre è umiliato, sbattuto in carcere ingiustamente, travolto da un castello di bugie che alla fine lo spezza. Due sfondi accompagnano la narrazione: Catanzaro e l’emergenza sanitaria. La prima, capoluogo disarticolato di una regione sottotraccia, che riesce a rimettere i pezzi di sé quasi esclusivamente quando c’è in campo la squadra di calcio. In fondo, Lou Palanca è figlia/o dello stadio, dei suoi colori, di una passione che rende tifosi ma non popolo.  E il Covid, ospite inatteso e indesiderato delle vite di ognuno, dai protagonisti del libro ai narratori passando per i lettori. L’autore ne deve fare conti e la sua penna è calata nel tempo tra  limitazioni personali, libertà compresse e una socialità tutta da ripensare.

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Prima di ogni altra cosa  “Padre Vostro” ci pone di fronte ai nostri limiti. Ai limiti di uomini e donne che vivono nella ricerca ossessiva della vendetta, della prevaricazione, del successo, o perlomeno della competizione.  Ai limiti dei nostri conflitti irrisolti con la genitorialità, attiva o passiva che sia.  Chi sarebbe stato Francesco?  Chi avrebbe incarnato, più di ogni altro, il vero significato della rieducazione della pena?
Pochi, pochissimi. Perché concedere una seconda possibilità reale e partecipata è un esercizio quotidiano da portare sulle proprie spalle giorno dopo giorno, sguardo dopo sguardo, una lacrima dopo l’altra. Non è dimenticare, ma custodire il ricordo e accompagnare ad una nuova vita, una nuova relazione, un nuovo modo di comunicare. “Padre Vostro” riporta alla solitudine di un padre e di una famiglia: “E’ l’unica cosa che mi è rimasta, sono l’unica cosa che le è rimasta”. Di questa solitudine, di questo amore incomprensibile, di questa reciprocità Lou Palanca se ne fa custode e narratore di una storia che ha bisogno di essere riletta dalla fine. Perché è nella fine (o almeno nella sua seconda parte, dal 21 febbraio 2001 in poi) che viene fuori l’archetipo di un uomo, un padre, un fratello, un amico di cui tutti noi avremmo bisogno. Ma che ci rifiutiamo di essere.

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