La condanna della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura mette fine per ora, in attesa dei ricorsi che certamente ci saranno, fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo ha già annunciato il suo difensore, alla sua carriera.
09 ottobre 2020 16:04Luca Palamara è stato radiato dall’ordine giudiziario. La condanna della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura mette fine – per ora, in attesa dei ricorsi che certamente ci saranno, fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo ha già annunciato il suo difensore – a una carriera che nell’ultimo decennio aveva portato il cinquantunenne ex componente del Csm ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati a diventare una delle toghe più famose d’Italia. E più potenti, stando a quanto emerso dalle indagini penali e disciplinari che hanno finito per travolgerlo.
La sanzione massima prevista dalla legge è stata inflitta al termine di una camera di consiglio durata due ore e mezzo, e a conclusione di un procedimento celebrato a tappe forzate.
L’incolpazione per cui a Palamara è stata strappata la toga di dosso si riferisce al tentativo di condizionare l’attività istituzionale del Csm, attraverso "una indebita manipolazione dei meccanismi decisionali istituzionali, in maniera occulta" (così s’è espressa la Procura generale al momento di chiedere la condanna) per pilotare le nomine dei procuratori di Roma e Perugia e quelle dei procuratori aggiunti della capitale (posto al quale aspirava lo stesso Palamara) nella primavera del 2019.
Le "manovre occulte", con la regia del magistrato, hanno coinvolto anche cinque ex componenti del Csm, dimessisi lo scorso anno, e i deputati Cosimo Ferri (giudice in aspettativa) e Luca Lotti; inoltre a Palamara sono stati addebitate anche manovre denigratorie nei confronti di alcuni colleghi come il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, l’aggiunto di Roma Paolo Ielo e l’ex procuratore della capitale Giuseppe Pignatone.
Palamara ha cercato di difendersi sia dentro l’aula del Csm sia fuori, con interviste e dichiarazioni tese a dimostrare di non aver fatto niente di strano, bensì di essersi semplicemente adeguato, in maniera forse un po’ eccessiva, al gioco delle correnti e delle spartizioni dei posti da sempre praticate dentro l’organo di autogoverno dei giudici. Ma non c’è riuscito.
Per sostenere la sua tesi e mettere in qualche modo sotto processo l’intero sistema delle correnti e di conduzione del Csm, l’incolpato aveva chiesto alla Sezione disciplinare del Consiglio di ascoltare ben 133 testimoni, compresi ex ministri, presidenti emeriti della Corte costituzionale, magistrati e politici di ogni ordine e grado, ma non gli è stato consentito.
Il processo s’è limitato all’ascolto degli investigatori della Guardia di finanza che hanno intercettato i dialoghi tra Palamare, Ferri, lotti e i cinque ex consiglieri nell'ormai famoso incontro notturno all'Hotel Champagne di Roma, dove tra l’8 e il 9 maggio 2019 si pianificavano le nomine incriminate, più un altro paio di testimoni. Sia la Procura generale della Cassazione che il «tribunale dei giudici» hanno ritenuto che gli testi citati dalla difesa esorbitassero dal perimetro delle contestazioni, limitate ai discorsi registrati quella notte e ad alcune altre conversazioni intercettate attraverso il virus trojan inoculato nel telefono cellulare di Palamara (per via dell’indagine penale aperta a Perugia, dove ora è imputato di corruzione) che l’ha trasformato in una microspia ambulante.
Tutto il resto – le altre registrazioni e soprattutto le famose chat di Palamare con decine o centinaia di colleghi tra il 2017 e il 2019, quando era prima al Csm e poi di nuovo alla testa della sua corrente, Unità per la costituzione – è rimasto fuori dal giudizio. "Abbiamo applicato le norme e le regole che ogni giorno applicano i magistrati in tutta Italia", ha specificato il vice-procuratore generale Pietro Gaeta, rappresentante dell’accusa, nel chiedere la condanna.
Palamara, assistito dal giudice di cassazione Stefano Guizzi, s’è difeso sostenendo di non aver commesso alcun illecito disciplinare. Chiedendo l’assoluzione o, al massimo, la sospensione dalle funzioni per due anni, in attesa dell’esito del processo di Perugia. "Palamara ha comportamenti gravemente inopportuni, dietro i quali ci può essere una responsabilità di natura politica ed etica, ma che non possono essere sanzionati sul piano disciplinari", ha sostenuto il difensore. Aggiungendo che le conversazioni con Lotti, Ferri e gli altri ex componenti del Csm non erano pianificazioni di strategie per nominare procuratori graditi, bensì semplici «prospettazioni di scenari, in quel momento molto fluidi»; poco più di chiacchiere da bar (seppure d’albergo), insomma.
"Capisco che a leggere certi dialoghi sembra di trovarsi nel mezzo delle trame di House of cards, ma in realtà si tratta di normali dinamiche correntizie – ha provato a spiegare il giudice Guizzi –. E le interlocuzioni con i politici sono normali perché alcune nomine hanno un’altissima valenza politica".
Non gli hanno creduto.
Palamara aveva anche sostenuto l’inutilizzabilità delle intercettazioni, considerate illegittime perché coinvolgevano due deputati coperti dall’immunità parlamentare, ma la Sezione disciplinare le ha considerate casuali, e quindi pienamente utilizzabili (come pure, finora, i magistrati di Perugia). Sarà uno dei punti sui quali proseguirà la battaglia legale di Palamara, per tentare di ribaltare il verdetto del Csm che l’ha portato fuori dalla magistratura. Oltre a quella mediatica, per cercare di dimostrare di essere stato trattato come un capro espiatorio sacrificato per non mettere in discussione usi e costumi dell’intera magistratura; o per lo meno della sua rappresentanza, sia all’Anm (da cui pure Palamare p stato espulso) sia al Csm.
"Si sente dire che la vostra sarà una sentenza politica per le ripercussioni che una decisione diversa dalla rimozione avrebbe sull’ordine giudiziario e sui rapporti con le altre istituzioni" - ha detto il difensore Guizzi ai giudici della Disciplinare che si apprestavano a entrare in camera di consiglio, "ma io mi rifiuto di crederlo. Sono convinto che qualunque decisione sarà frutto della vostra autonoma e indipendente capacità di giudizio".
Palamara invece – che nelle scorse udienze aveva ribadito di non aver mai tramato né organizzato alcunché di illecito con Lotti e Ferri, scegliendo però di non rispondere alle domande dell’accusa – ha preferito non dire nulla di più al suo tribunale prima del verdetto. Quando è stata emessa la condanna alla radiazione era lì ad ascoltare, nella stessa aula in cui per quattro anni (tra il 2014 e il 2018, ma anche prima e dopo, da fuori) è stato uno dei protagonisti più attivi dell’autogoverno della magistratura.
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