"La scorsa settimana, con l’operazione denominata “Articolo 36”, due imprenditori titolari di un negozio di profumi nel centro di Lamezia Terme, sono stati denunciati per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro continuato". Così in una nota l'Unione Sindacale di Base (Usb) commenta la vicenda giudiziaria che ha visto coinvolti due imprenditori e che ha determinato il controllo giudiziale per un’azienda di Lamezia Teme.
"I due imprenditori, per un periodo di almeno due anni, avrebbero sottoposto tre delle loro impiegate a condizioni di sfruttamento, con retribuzioni difformi dai contratti collettivi nazionali e con la ripetuta violazione della norme sull’orario di lavoro e sulle ferie, approfittando del loro stato di bisogno derivante dall’assenza di altre opportunità occupazionali. Le commesse erano dunque sottoposte a condizioni di lavoro e a metodi di sorveglianza degradanti, costantemente soggette a video-sorveglianza da parte dei datori di lavoro e inoltre costrette a emettere scontrini fiscali per importi inferiori rispetto a quanto pagato dai clienti", continua il sindacato, riassumendo la vicenda.
"In realtà questa operazione non ci svela nulla di nuovo: le situazioni di sfruttamento lavorativo, l’assenza di tutele e garanzie, soprattutto per le lavoratrici impiegate in attività commerciali, sono pratiche purtroppo ampiamente diffuse e tollerate che meriterebbero di essere meglio approfondite. Consapevoli delle difficoltà dettate dalla precarietà, dal ricatto occupazionale, dalla paure di perdere il lavoro, esprimiamo la nostra piena vicinanza alle tre commesse vittime di questo episodio ed offriamo il nostro supporto legale e sindacale attraverso lo sportello legale autogestito di Lamezia terme e la sede USB, a chiunque si trovasse in condizioni di sfruttamento lavorativo", scrive l'USB continuando nella nota, ed esprimendo la sua solidarietà alle lavoratrici e a tutti i lavoratori che versano nella stessa situazione.
"Quanto emerso con l’inchiesta è solo una punta di iceberg, vorremmo chiedere alla politica nostrana e quella nazionale solo a titolo di esempio, quanti contratti sono stati redatti in questa immaginaria ripresa post covid, tra stagionali lungo tutto il perimetro calabrese? Quante unità hanno ripreso a lavorare dopo la cassa integrazione forzata, e soprattutto quanti sfruttati impauriti che non denunciano lavoro di 10/12 ore e pagati appena per tre ore?", queste le domande che si pone il sindacato nella nota stampa.
E conclude: "Parlare di rispetto di tutte le disposizioni normative e dei livelli salariali stabiliti dalle leggi e dai contratti collettivi in Calabria è un eufemismo, come USB nell’ultimo incontro con l’assessore al lavoro calabrese abbiamo proposto una piattaforma di registrazione a disposizione di tutti i lavoratori che sono chiamati nelle aziende al fine di censire e combattere il lavoro nero. Nulla da fare, il primo caporale del lavoro nero o sfruttato è proprio la politica".
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