
Abbiamo ascoltato con attenzione le dichiarazioni del Procuratore di Napoli Nicola Gratteri, che ha invitato ANM alla compattezza contro la separazione delle carriere, paventando il rischio che dietro la riforma vi sia il disegno di “controllare il pubblico ministero” e di “normalizzare la magistratura”.
Riteniamo doveroso, tuttavia, osservare che le parole del Procuratore non dialogano con la realtà dei fatti. Egli stesso ha ricordato di non essere mai intervenuto a una riunione dell’ANM, accusando l’associazione dei magistrati di non aver sostenuto la Procura di Catanzaro quando, a suo dire, avrebbe condotto indagini, non più sui “soliti noti”, ma “alzando il livello”. Aggiunge di essere rimasto solo, di aver “lottato a mani nude” e di esserne uscito comunque “bene”, vantando un tasso di ingiuste detenzioni inferiore alla media nazionale.
Ebbene, non sappiamo a quali dati ideali il Procuratore faccia riferimento. Quelli reali raccontano una storia drammaticamente diversa: molte delle indagini della Procura di Catanzaro negli anni della sua direzione si sono concluse con numerose scarcerazioni e assoluzioni, anche di grande rilievo, con un tasso di ingiuste detenzioni che, in Calabria, risulta essere di gran lunga superiore alla media nazionale.
Se guardiamo alle statistiche pubblicate dal Ministero della giustizia, quelle ufficiali, rimbalzate da un quotidiano nazionale non “schierato”, leggiamo che “negli ultimi sette anni lo stato ha sborsato 220 milioni di euro per indennizzare i cittadini vittime di ingiusta detenzione, cioè che sono stati arrestati per poi essere prosciolti o assolti. Ben 78 milioni (il 35 per cento dei casi) in Calabria, terra di maxi operazioni con decine di arresti, poi finite in un flop. […] In altre parole, una regione che ospita soltanto 1,8 milioni di abitanti ha assorbito negli ultimi sette anni il 35 per cento dell’intera spesa destinata a risarcire le vittime di ingiusta detenzione. Un record, confermato anche nel 2024: su 26,9 milioni complessivi, 8,8 milioni (il 33 per cento) sono stati versati per risarcire chi è stato incarcerato ingiustamente in Calabria”.
Non sappiamo a quale Calabria si riferisca Gratteri, nel suo mondo immaginario. In quello reale delle molte vittime delle sue maxi-operazioni, i numeri sono impietosi.
Ma la questione è un’altra, più profonda. Occorre chiedersi se, in quegli anni, la magistratura calabrese sia stata davvero “libera, indipendente e serena”, come oggi invoca Gratteri, o se piuttosto lo squilibrio di potere interno, determinato da un ruolo dominante della Procura, non abbia tolto serenità, soprattutto alla magistratura giudicante. È lecito domandarsi se un GIP che non accoglieva una sua richiesta cautelare non avvertisse il timore di essere equivocato o esposto, e se molti magistrati di quell’Ufficio così delicato (dove si decide la libertà del cittadino) non abbiano preferito lasciare il ruolo di giudice, trasferendosi in altri Uffici, pur di mantenere la loro autonomia e indipendenza rispetto a una pressione ambientale alta, legata anche alla forte figura del Procuratore e al suo metodo operativo.
Occorre interrogarsi, ancora, se la responsabilità dell’ANM non sia stata piuttosto un’altra: non già nell’“averlo lasciato solo”, come egli sostiene (e che non ci risulta), ma nell’averlo lasciato “indisturbato”. Il silenzio della magistratura associata di fronte al modo di operare – a quel tempo – della Procura di Catanzaro è stato davvero assordante. Senza ipocrisie: tutti sapevano, molti (anche tra i magistrati, specie quelli più attrezzati) non condividevano, ma nessuno aveva il coraggio di parlare (basta leggere le intercettazioni di Salerno – il grande fratello abbattutosi sul nostro distretto, in una stagione di sospetti e di veleni), per rendersene conto. Una Procura che ha adottato un approccio spettacolare all’amministrazione della giustizia, seguendo un modello operativo “spinto”, a “trazione anteriore”, senza porsi il problema se tale metodo violasse i diritti e le garanzie degli indagati – in primis la presunzione di innocenza – e travalicasse la funzione di un sistema penale concepito come “limite” alla pretesa punitiva dello Stato. Così, a Catanzaro, si è aperta la strada a un diritto penale simbolico e onnivoro, spesso ispirato alla logica del sospetto, concepito più come strumento di lotta al male che come autentico mezzo di garanzia dei cittadini.
Ecco perché la separazione delle carriere non è, come qualcuno sostiene, un rischio per l’indipendenza, ma al contrario lo strumento autentico per garantirla davvero: per assicurare al giudice di essere libero, indipendente e soprattutto sereno rispetto al pubblico ministero, e per affermare una reale indipendenza interna tra funzioni requirenti e giudicanti.
È bene ricordare che la riforma costituzionale assicura che entrambe le magistrature – requirente e giudicante – resteranno autonome e indipendenti da ogni altro potere dello Stato, senza ingerenze del potere esecutivo o della politica.
La verità è che mantenere unite le carriere serve solo a conservare un assetto di potere che, proprio a Catanzaro, ha mostrato la sua pericolosità. In nome di una lotta al male condotta spesso con la logica della “pesca a strascico”, sono stati travolti cittadini, famiglie e imprese, risucchiati in procedimenti che si sono poi sgonfiati nel tempo, ma non prima di aver lasciato dietro di sé macerie umane e sociali.
Non è stata la Calabria ad essere smontata come un Lego, ma la vita di tante vittime innocenti, risucchiata dalla logica del sospetto e finita nel mirino del gigantismo processuale.
Per questo invitiamo il Procuratore Gratteri a riflettere quando parla di “false narrazioni”. Forse sarebbe opportuno chiedersi se la falsa narrazione non consista proprio nel sostenere che quelle indagini abbiano retto al vaglio del contraddittorio e del giusto processo. La giustizia, per molti imputati, dopo anni di arresti e di sofferenza alla fine è arrivata, ma, quando arriva troppo tardi, non ripara: lascia solo rovine e vite spezzate. Peccato che, su questa rilevante quota di dolore, il Procuratore non abbia mai sentito il dovere di esprimersi e la responsabilità di chiedere scusa.
Continueremo a batterci per una magistratura davvero libera, indipendente e serena, non in apparenza, ma nei fatti. E questa libertà passa – oggi più che mai – dalla separazione delle carriere.
Il Presidente – Avv. Michele Donadio, Camera Penale “E. Donadio” di Castrovillari
Il Presidente – Avv. Francesco Iacopino, Camera Penale “A. Cantàfora” di Catanzaro
Il Presidente – Avv. Roberto Le Pera, Camera Penale di Cosenza “Avvocato Fausto Gullo”,
Il Presidente – Avv. Romualdo Truncè, Camera Penale “G. Scola” di Crotone
Il Presidente – Avv. Renzo Andricciola, Camera Penale “Avv. Felice Manfredi” di Lamezia Terme
Il Presidente – Avv. Antonio Alvaro, Camera Penale “G. Simonetti” di Locri
Il Presidente – Avv. Giuseppe Bruno, Camera Penale “E. Lo Giudice” di Paola
Il Presidente – Avv. Francesco Siclari, Camera Penale “G. Sardiello” di Reggio Calabria
Il Presidente – Avv. Giovanni Zagarese, Camera Penale di Rossano
Il Presidente – Avv. Giuseppe Bagnato, Camera Penale “F. Casuscelli” di Vibo Valentia
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