di TERESA ALOI
Lo hanno definito un "crimine ambientale". Un "danno irreparabile" che, alla fine, interagisce, ovviamente in maniera negativa, sulla salute dei cittadini. Un "crimine" cristallizzato da quella "quantità enorme" di rifiuti mescolati al terreno tanto da far parlare i magistrati della Dda di Reggio Calabria di "disastro ambientale", reato poi riqualificato dal gip in inquinamento ambientale.
Del resto i numeri ci sono tutti. Valori che in alcuni casi sono arrivati al 6000% sopra il limite previsto: idrocarburi del 4200 per cento oltre il valore consentito; zinco al 4.867 pere cento; rame al 6000 per cento; il piombo al 59.00 per cento: solo per fare qualche esempio.
L'operazione denominata in codice "Mala pigna" che stamattina ha portato all'ordinanza di custodia cautelare personale a carico di 29 soggetti, con contestuale Decreto di sequestro preventivo per cinque società operanti nel settore dei rifiuti e di somme per equivalente, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria, indagate a vario titolo per associazione di tipo mafioso, disastro ambientale, traffico illecito di rifiuti, intestazione fittizia di beni, estorsione, ricettazione, peculato, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, violazione dei sigilli e danneggiamento aggravato, fa emergere uno spaccato inquietante.
Amministratori e professionisti pronti ad accondiscendere ai desiderata della criminalità. "Un totale asservimento di questi professionisti pur nella plateale evidenza delle attività illecite che a loro veniva chiesto di compiere" lo ha definito il procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci durante la conferenza stampa per illustrare i dettagli dell'operazione.
"Una criminalità che capisce qual è l’indirizzo degli affari" per il colonnello del Nipaaf Lupini. "Oggi i metalli non si estraggono più solo dalle miniere come un tempo: al rottame si può trarre del nuovo metallo destinato alle infrastrutture, che sono all’infinito riciclabili".
"Un lavoro eccellente che ha ricostruito un traffico illecito di rifiuti di grandi dimensioni" lo ha definito il procuratore capo Giovanni Bombardieri parlando di Rocco Delfino come "il dominus assoluto". Lui, uomo referente della cosca Piromalli.
"Le indagini - ha spiegato - risalgono al 2017 data in cui venne confiscata la società gestita dalla famiglia Delfino ma che nonostante ciò, continuava ad operare". Perché nonostante fosse oggetto dei provvedimenti di sospensione dell’autorizzazione al trattamento dei rifiuti e di cancellazione dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, continuava a gestire l’attività organizzata per il traffico di rifiuti ferrosi.
"Un quadro sconcertante - ha aggiunto ancora il procuratore Bombardieri - la capacità criminale di Rocco Delfino nel mantenere rapporti criminali e istituzionali deviati che gli hanno consentito di acquisire lo spessore criminale talo da diventare esponente di livello della cosca".
IL RUOLO DI PITTELLI
"Una condotta a disposizione di Rocco Delfino e della cosca che rappresenta. Come nell'inchiesta "Rinascita Scott" anche in questa, si preoccupa di fornire informazioni su un' inchiesta reggina citando il nome del magistrato". Così, il procuratore Bombardieri in riferimento al ruolo dell'avvocato penalista ed ex parlamentare di Forza Italia, Giancarlo Pittelli che ha il compito di "alleggerire posizioni processuali attraverso la mediazione con alcuni magistrati" tra cui il giudice Marco Petrini. Condotte che "emergono anche dai verbali dello stesso Petrini, quando dichiara che Pittelli gli promise dei soldi per “aggiustare” alcuni procedimenti" ha spiegato ancora il procuratore Bombardieri.
Secondo l'accusa Pittelli avrebbe svolto, è scritto nel capo di imputazione, un ruolo "da 'postino' per conto dei capi della cosca Piromalli, nella perizia balistica relativa all'omicidio del giudice Antonino Scopelliti", il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione ucciso il 9 agosto del 1991 in un agguato a Campo Calabro, nel reggino, mentre rientrava a casa a bordo della sua autovettura.
In particolare, l'ex parlamentare, secondo l'accusa, avrebbe sottoposto all'attenzione di un indagato, ritenuto "soggetto di estrema fiducia" della famiglia mafiosa Piromalli di Gioia Tauro, "una missiva proveniente da Antonio Piromalli finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli detto 'Facciazza' indagato quale mandante, in concorso con altri capi di cosche di 'ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, dell'omicidio del giudice Scopelliti facendosi portavoce delle esigenze della cosca". In sostanza, per la Dda reggina, avrebbe pianificato "un sistema al fine di eludere la tracciabilità del denaro necessario alle strategie difensive, proveniente da profitti criminali".
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