Morte Malacaria, Cimino: "Cinquantadue anni di grida soffocate"

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images Morte Malacaria, Cimino: "Cinquantadue anni di grida soffocate"
Franco Cimino
  06 febbraio 2023 12:33

di FRANCO CIMINO

I fatti, sempre se resisteranno al tempo e alle storie, si incaricheranno di dimostrare che la Storia non esiste, almeno come scienza degli apprendimenti oggettivi. Pertanto, se della memoria sociale o collettiva, tra un’altra metà di secolo, resisterà qualcosa di quella tragica sera del quattro febbraio millenovecentosettantuno, quei fatti diranno gran parte della “verità vera” sulla terribile morte di Giuseppe Malacaria, il giovane operaio, padre di figli in tenerissima età, che diverse letterature, strumentalmente avanzate, vogliono o che si sia trovato di passaggio, del tutto involontario, per quella strettoia dell’esplosione della “ sua” bomba”, o che, da “ fervente militante” socialista, vi fosse arrivato dallo spezzettamento dell’affollato corteo antifascista.

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Quel corteo che avrebbe voluto molto più a lungo sostare in quella piazza Prefettura democraticamente occupata per rispondere con fermezza alla violenza “ fascista” di quella Reggio messa a ferro e fuoco, dai “ fascisti”, per la questione “ capoluogo” della Regione. Anche sui famosi “ moti” di Reggio Calabria, il tempo ci dirà quella verità finora trattenuta nella propaganda politica e … nei cassetti dei molti segreti italiani, di cui fintamente ancora non si trovano le chiavi. In quel tempo a venire si scoprirà, senza quei dubbi rimossi dalle “ verità” giudiziarie, che Giuseppe è stato ucciso dalla bomba “ fascista”, che, obbedendo a una chiara strategia della tensione, avrebbe voluto una quantità di vittime sufficienti a mettere la Calabria in uno devastante condizione bellica in cui più parti si sarebbero fatti la guerra tra loro. E tutti insieme a uno Stato reso impotente e sconfitto dinnanzi al dilagare di quella violenza utilizzata, soprattuto in futuro, per il ripetuto tentativo di sovvertire lo Stato democratico.

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Peccato che nelle manifestazioni più istituzionali di commemorazione, quelle poche in questi anni, vi siano stati più retorica che analisi rigorosa, più diplomatismo che coraggio della denuncia, ovvero quello di continuare nella ricerca della verità vera.

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Come avrebbe dovuto fare interrottamente nei decenni, e come di più avrebbe il dovere di fare oggi, la Città che da quella tragedia ha subito un colpo durissimo. Quel colpo che ha, come altri successivi pur di diversa natura, alterato il corso della democrazia, diciamo, catanzarese o territoriale. Tra cinquant’anni, Dio voglia assai prima, avremo la verità storica, l’illuminazione della storia su quella salitina stretta rimasta ancora nel buio pesto, nonostante le luci nuove e la targa di marmo luccicante anche se ricomposta dalla violenza subita un anno fa. Oggi, dopo cinquantadue anni esatti, Giuseppe Malacaria, è un striscia d’asfalto ammalorata ulteriormente dal sangue che vi scorre sopra.

È un dolore trattenuto negli occhi asciutti dei catanzaresi. È un senso di colpa inesploso. Una mancata presa di coscienza del dovere della democrazia che impegna tutti noi. È una evitata consegna di responsabilità alle tante nuove generazioni susseguitesi in questa metà di secolo. È il rumore silenziato della viltà che ci ha preso e non ci lascia oggi neppure dinanzi ai drammi più cogenti e diretti contro le nostre famiglie e i nostri affetti più vicini. Giuseppe, è la voce afona che urla le sue parole non udite, il dolore non ascoltato, la sua sete di giustizia asciutta d’acqua. È Catanzaro che non si sveglia, ché nessuno la vuol svegliare.

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