Il collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice, noto esponente dell’omonimo clan di ‘ndrangheta di Reggio Calabria, è stato condannato in via definitiva a cinque anni di reclusione per calunnia ai danni del magistrato reggino Alberto Cisterna, in atto Sostituto procuratore generale della Cassazione. La Suprema Corte ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali del pentito, confermando così una precedente sentenza emessa nel novembre del 2024 dalla Corte d’appello di Firenze, processo che era approdato dinanzi ai giudici toscani a seguito di un annullamento con rinvio deciso dagli Ermellini di una sentenza di assoluzione del Lo Giudice, che era stata emessa dalla Corte d’appello di Perugia.
Lo Giudice, nel 2011, nel corso di due interrogatori dinanzi all’allora procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone ed al Sostituto procuratore Beatrice Ronchi, “incolpava Alberto Cisterna – secondo quanto hanno scritto in sentenza i giudici della Corte d’appello di Firenze – del reato di corruzione in atti giudiziari, sapendolo innocente, riferendo di aver appreso dal fratello Luciano Lo Giudice che il medesimo aveva pagato al Cisterna, all’epoca in servizio alla Procura nazionale antimafia, una grossa somma di denaro affinché al loro fratello Maurizio Lo Giudice, gravemente malato e ristretto presso il carcere di Milano ‘Opera’, venisse concessa la detenzione domiciliare”. Cisterna, di conseguenza, era stato iscritto nel registro degli indagati ma dopo “accertamenti capillari che avevano riguardato la vita e le finanze del magistrato”, la sua posizione era stata archiviata perché è stato escluso che “avesse mai ricevuto somme di denaro illecite o anche solo ingiustificate da chicchessia”.
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