C’è un filo nero che attraversa oltre vent’anni di vita economica catanzarese. È un filo fatto di debiti, paura, intimidazioni e denaro sporco. Al centro di questa rete, secondo l’ultima ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Catanzaro, c’è Carlo Francesco Procopi, una figura definita nelle carte come apparentemente defilata ma centrale in un sistema di usura che ha soffocato ristoratori, piccoli imprenditori e famiglie in crisi. Una rete tentacolare di usura, intimidazione e violenza che riporta alla luce anni di vessazioni. (LA NOTIZIA DELL'ARRESTO)
Procopi è descritto dagli inquirenti come la figura apicale di un sistema di usura che per almeno un decennio avrebbe colpito individui in grave stato di bisogno economico. Secondo i documenti dell'indagine, il meccanismo era semplice: prestiti in contanti a tassi usurari, minacce costanti, e quando le parole non bastavano, le mani. E spesso, le vittime erano ristoratori della zona, colpiti proprio nel momento della massima vulnerabilità.
Uno dei casi più significativi riguarda un imprenditore locale proprietario di un B&B a Catanzaro, costretto nel 2015 a cedere somme con un tasso del 600% annuo a fronte di un prestito frazionato da 60.000 euro. A ottobre dello stesso anno, un altro prestito da 37.500 euro fu gravato da un interesse dell’80% annuo. L'imprenditore, secondo quanto documentato nell'indagine, era in ginocchio: i conti della sua attività non reggevano e ogni mese la spirale del debito diventava più stretta. È così che nel luglio del 2021, lo stesso imprenditore fu vittima di un’aggressione fisica: "un poderoso schiaffo in volto e la minaccia di ulteriori e più gravi conseguenze" gli estorse 406 euro.
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Più recentemente, nel maggio del 2023, un altro imprenditore locale finisce nella rete dei Procopi. Schiacciato da debiti ingenti, cerca una via d'uscita che svia il credito legale. Secondo la narrazione degli inquirenti, attraverso la mediazione di Giuseppe Procopi, fratello di Carlo e oggi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, avrebbe garantito all'imprenditore un prestito pari a 12 mila euro con un tasso di interesse del 140% annuo, a fronte del limite legale del 18,95%. L'imprenditore inizia a restituire il denaro in rate mensili. Ogni pagamento diventa un sacrificio, ogni ritardo una minaccia implicita con un meccanismo psicologico e sociale in cui la disperazione viene sfruttata per ottenere profitti illeciti. Nessuna violenza fisica, in questo caso, ma una violenza sistemica, sottile e continua.
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