Offese ai meridionali. L'avvocato Felice Foresta: "Direttore Feltri, la invito in Calabria"

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L'avvocato Felice Foresta
  03 maggio 2020 15:21

di FELICE FORESTA

Preg.mo Direttore Feltri,

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uno dei principi cardini dell’ordinamento giuridico italiano, con il quale ho deciso di convivere e di confrontarmi abbracciando la professione di Avvocato, è quello del contraddittorio. In esso, invero, si coagula l’essenza del processo e, prima ancora, la ragione fondante di una sana e pacifica convivenza civile. Nel solco dell’ossequio quotidiano che ritengo di dovere a tale assioma, desidero approcciarmi alla vicenda che, da giorni, La vede protagonista per effetto delle Sue esternazioni espresse sull’inferiorità dei meridionali, e sui mali che li attanagliano. 

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Lo faccio non tanto e non già perché i meridionali e  i calabresi – che proprio di recente ha tirato in ballo –  abbiano bisogno di chi perori la loro Difesa. Io,  non ne sarei capace, e loro, sanno fare da soli. Lo faccio perché a me piace – prima ancora che il merito di ogni storia che, nell’occasione, mi permetta, è di bassissimo profilo – che si giochi sempre ad armi pari. E Lei, anche con la connivenza di un conduttore televisivo che, adesso, si dice contrito, non l’ha fatto. Deragliando oltre ogni misura, come inducono a ritenere le azioni di natura deontologica ventilate nei Suoi confronti dagli organi preposti alla garanzia e al corretto svolgimento della Sua professione.

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Ma non è questo il punto. E io non intendo accodarmi a chi invoca la forca perché nei Suoi confronti siano adottate le sanzioni più estreme. Il motivo del mio intervento è, invece, molto semplice: invitarla quassù – no, non è un refuso –  nella mia terra, per un confronto dialettico diretto e sereno, senza filtri e infingimenti, all’esito del quale possa rivisitare le Sue odiose affermazioni. E, magari, chiedere scusa a tutti i meridionali e a tutti i calabresi.

Vede Direttore, è molto semplice pontificare dall’esterno, inciampare nel fango del pregiudizio, catalogare e ammonire. Il tutto senza conoscere. Che, per un opinion leader, un uomo di cultura e d’intelletto come il direttore di un quotidiano rischia di diventare un’aggravante, specie se s’innesta nel solco di una recidiva specifica. Comprendo le ragioni sottese alla Sua suggestiva ed ecumenica aggressione verbale alle intelligenze del Meridione. La crisi dell’editoria e dei giornali è vicenda che si percepisce pure a Sud, malgrado di libri e di giornali se ne vendano pochi.

So, pure bene, con la presunzione di non ritenere necessario il ricorso alle statistiche di settore, che “Libero” non sia certo il quotidiano più amato dagli italiani e che, per questo, da premuroso nocchiero qual è Lei, sia giusto ingegnarsi per recuperare appeal presso i lettori. La strategia senza contenuti o, peggio ancora, con contenuti edulcorati da un lessico di bassa lega, però, paga poco. Anzi, pochissimo per non dire niente. E tanto, soprattutto, se viene tradita irrimediabilmente una delle pietre miliari anche dell’attività giornalistica: l’etica della parola detta. E, prima ancora, l’etica, ancora più pregnante, della parola non detta e da non dirsi. Quando non si conosce.

Vede Direttore, io – e credo i miei conterranei che vanno da Capua ad  Alcamo, da Otranto a Nuoro – non ci sentiamo offesi né indignati. Sono stati d’animo che tradirebbero un nervo scoperto che noi non riteniamo di avere. Perché la realtà del Sud e la realtà di chi vive a Sud la comprendi solo se a Sud ti sei sbucciato e ti sbucci le gambe, se hai lottato e  lotti ogni giorno controcorrente, se hai avvertito e se avverti, da tempo immemore, un distanziamento (termine osceno ma che, oggi, purtroppo  appartiene a tutti) dallo Stato che non è solo geografico.

Ci sarebbe tanto da scrivere ancora, con forza e con pacatezza, per smentirla ma, forse, annoierei Lei che è aduso a toni più frizzanti e accattivanti e, soprattutto, finirei per affievolire l’immanenza di un contraddittorio  cui anelo con Lei in modo diretto, autentico e, se possibile, costruttivo. E, poi, diciamolo con franchezza e onestà intellettuale: non è questione di latitudine e longitudine. La storia ci ha insegnato che le categorie buoni e cattivi, brutti e belli, ricchi e poveri, sono gabbie di cui ci serviamo per catalogare le nostre debolezze. Non le nostre virtù.

Certo, non Le nascondo che avrei gradito un’insurrezione delle coscienze di chi in Calabria – per quel che mi concerne – ha la responsabilità morale e politica di difendere la dignità dei propri cittadini, della propria provenienza e del proprio patrimonio di valori, in special modo. Ho rilevato –  certamente per mia disattenzione e demerito –  solo incidentali interventi, secondo una, oramai,  sorpassata grammatica istituzionale. Ma tant’è.  Questa, forse, è davvero un’incompiuta con cui i Meridionali sono costretti a convivere.

“…L'ignoranza e l'errore sono nocevoli a' popoli. La libertà della stampa dissipa l'ignoranza e l'errore…”

E’ singolare, anzi anomalo, che tali parole – non rileva ma, per un vezzo della memoria, le ricordo per essere stato l’incipit della mia tesi di laurea – sulla libertà di stampa provengano da Sud. E’ davvero difficile immaginare che un pensiero di così alto respiro possa ricondursi a un calabrese, Pasquale Galluppi, filosofo di Tropea, dopo aver ascoltato le Sue ripetute invettive. Io a quella libertà non voglio che si abiuri mai. E non perché era la voce di Pasquale Galluppi, uno dei più fulgidi esempi di pensatori meridionali illuminati in un contesto, peraltro, che accusava stigmate di oscurantismo. Ma perché sarebbe il segno di una pericolosissima retrocessione del pensiero.

Non voglio, tuttavia, però che una libertà – altissima, come quella di parola – possa essere l’usbergo dietro cui annidarsi per alimentare rigurgiti di un antistorico odio sociale. Perché, mai come in questo momento, per l’Italia non è tempo di coltivare i rantoli del passato, e con essi l’ignoranza e l’errore. Oggi l’Italia ha l’obbligo etico di dissipare, tutta unita, la paura di non ritrovare la sua straordinaria normalità. Il pensiero è  più penetrante dei sensi, diceva il filosofo Zenone di Elea. Guarda caso, sempre un meridionale.

Direttore Feltri, sforziamoci tutti, di fare del pensiero anche l’occasione di una smarrita catechesi di comunità nazionale. E non il traino che scarica, inutilmente, livore e fango.

*avvocato

 

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