Omicidio Bergamini, l'ex fidanzata Isabella Internò condannata a 16 anni

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images Omicidio Bergamini, l'ex fidanzata Isabella Internò condannata a 16 anni

  01 ottobre 2024 19:16

di FILIPPO MARRA CUTRUPI

COSENZA – Isabella Internò è colpevole. È stata lei ad uccidere Dennis Bergamini, all’epoca suo fidanzato in concorso con altre persone. Ci sono voluti 35 anni per arrivare alla verità. Quasi 3 anni di udienze, 62 udienze nella città del capoluogo bruzio, 3 in trasferte. Tante sono le udienze svolte a Cosenza davanti alla Corte presieduta da Paola Lucente.  Isabella Internò, unica accusata del delitto, è stata condannata a 16 anni di carcere per concorso in omicidio volontario.

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La decisione della corte è arrivata poco dopo le 19 dopo una Camera di Consiglio durata otto ore. La Internò è stata condannata per omicidio volontario in concorso con ignotiEscluse le aggravanti di aver agito col mezzo venefico e della crudeltà, concesse le attenuanti generiche. Interdizione totale dai pubblici uffici
Decisa la trasmissione degli atti in procura di Assunta Trezzi, Concetta Tenuta, Dino Pippo Internò, Roberto Internò, Michelina Mazzuca, Luigi D’Ambrosio e Raffaele Pisano per falsa testimonianza. Per la figura di Roberto Internò atti rinviati in procura come possibile coautore in concorso del delitto.

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Domizio Bergamini, papà di Donato, Denis per tutti, giocatore del Cosenza degli anni ’80, è morto nel 2020 con la pena più grande di non conoscere la verità sulla morte del figlio, che aveva cercato in lungo ed in largo. Un padre disperato alla ricerca della verità. Alla ricerca di un perché. Da quella tragica sera del 18 novembre 1989, papà Bergamini non era più lo stesso.  Aveva lasciato perfino il suo lavoro di imprenditore. Da quel giorno la sua ragione di vita era stata una sola. Trovare la verità sulla morte di Denis. Ma per capire bene la storia, dobbiamo fare un passo indietro, e raccontare cosa successe la sera del 18 novembre 1989.

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I fatti Quel giorno, era un sabato pomeriggio, come accadeva puntualmente alla vigilia delle partite, il Cosenza – squadra che allora militava in serie B – dove giocava Denis Bergamini, è in ritiro all’hotel Agip di Rende, nel Cosentino. Nel pomeriggio, tutti i giocatori della squadra al completo vanno al cinema, per vedere un film. Tra loro c’è anche Denis. Intorno alle sedici, il calciatore si allontana, va a casa della sua ex ragazza, Isabella, e con lei in macchina si dirige verso Taranto. A Isabella, avrebbe raccontato, secondo la versione di quest’ultima, di voler fuggire dall’Italia. Ma addosso a Denis verranno trovati pochi spiccioli e un assegno di quasi 9 milioni di lire del Cosenza Calcio. Intorno alle 20 di sera Isabella chiama l’hotel dove è in ritiro la squadra e comunica all’allenatore, Gigi Simoni, e al direttore sportivo, Roberto Ranzani, che Denis è morto: schiacciato da un camion lungo la strada statale 106, all’altezza di Roseto Capo Spulico. Quando i dirigenti del Cosenza arrivano sul posto, già si parla di suicidio. In pratica Denis, secondo quanto riferito da Isabella, l’unica che conosce la verità, scende dalla sua auto, una “Maserati biturbo” e si lancia sotto un camion in transito.

 

I dubbi. Il giorno dopo, in Calabria, arrivano i genitori del calciatore: a loro verrà consegnato il corpo di Denis, senza che sia stata fatta l’autopsia. Al padre, che chiama in ospedale per sapere dove sono finiti i vestiti del figlio un infermiere risponde: “Sono in un sacco da portare all’inceneritore”. Papà Bergamini chiese per favore di trattenere i vestiti che andrà lui stesso a ritirare, ma lo stesso interlocutore cambia versione e risponde: “No, no mi sono sbagliato i vestiti non ci sono, non ci sono”. Bergamini padre minaccia l’intervento dei carabinieri, ma ciò non porterà a nulla. Molti anni dopo viene fuori un’intervista a Michele Padovano che racconta che sul pullman del Cosenza i giocatori tiravano a sorte per chi dovesse avere i vestiti dello sfortunato centrocampista emiliano.

Il mistero- Le indagini, infatti, ben presto – e sarebbe utile capire il motivo ancora oggi, chi è perché ha avuto interesse ad insabbiare la verità per 35 anni– sono state archiviate dalla magistratura come suicidio. Per chi come il cronista ha avuto la possibilità di leggere gli atti, si è reso subito conto da subito che i conti non tornavano. Il primo a non essere convinto di ciò era proprio papà Bergamini. E anche la dinamica dell’incidente non convinceva per niente: “Mi vogliono far credere che mio figlio è finito sotto un camion 4 assi, carico di 138 quintali di arance, trascinato per ben 64 metri e il suo corpo è rimasto intatto? Non è possibile. Come non è possibile che dopo l’incidente il suo orologio continuasse a funzionare” disse il papa dell’ex centrocampista del Cosenza. Ma la cosa che preoccupava di più sono le inesattezze nei racconti della ragazza, l’unica a sapere esattamente come sono andati i fatti. Ma c’è dell’altro: il camion che ha investito Denis è sparito nel nulla, non era stato neanche sequestrato. Grottesca è, poi, la dichiarazione dell’autista: “Dopo aver sentito il botto e camminato per circa 50 metri, ho fatto marcia indietro per vedere cosa era successo”. Quindi, dato che il corpo del ragazzo, come si evinceva dal rapporto dei carabinieri, era stato trovato davanti al camion, lo stesso mezzo è passato per ben due volte sul corpo del giocatore. Ma anche qui l’autopsia, effettuata dopo oltre due mesi dalla morte a seguito delle tante richieste dei familiari, dava ragione alla famiglia dello sfortunato giocatore: “La morte è avvenuta per dissanguamento della vena aorta. Segni di graffi o di schiacciamento e di ossa rotte nel cadavere non ne risultano”. Praticamente impossibile, vista la descrizione dell’incidente. Ma Domizio Bergamini aveva rivelato, allora, un particolare importante: “Due poliziotti della questura di Cosenza mi dissero che mio figlio fu ucciso, ma che purtroppo non si poteva fare niente, perché qualcuno aveva corrotto chi sapeva, comprando perfino i banchi dei tribunali”. Ma questi due poliziotti, non sono più alla questura di Cosenza, erano stati trasferiti altrove con altri incarichi, perché si erano spinti troppo oltre il limite per cercare la verità. Una verità forse scomoda che interessava a pochi, fino al 2021 quando l’allora Procuratore Capo di Castrovillari Eugenio Facciolla non riaprì il caso che si è concluso con la storica sentenza di oggi.

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