di STEFANIA PAPALEO
In dirittura d'arrivo il processo in Corte d’Assise d'Appello a carico dei presunti killer dell'avvocato Torquato Ciriaco, freddato il 1° marzo 2002 in un agguato nei pressi dello svincolo dei Due Mari. Dopo la requisitoria del sostituto procuratore generale Salvatore Di Maio che, alla scorsa udienza, ha chiesto 30 anni di reclusione per i fratelli Vincenzino e Giuseppe Fruci e 7 anni e 4 mesi di reclusione per il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, oggi ad andare in scena sono andate le arringhe dei rispettivi avvocati difensori Giuseppe Spinelli, Sergio Rotundo e Luca Cianferoni, e Maria Claudia Conidi.
L'assenza dell'avvocato Anselmo Torchia, co-difensore di Vincenzo Fruci, ha poi costretto il presidente della Corte, Antonio Battaglia, a rinviare al 28 marzo per dare la possibilità a quest'ultimo di portare avanti la propria arringa e per eventuale replica della pubblica accusa, con successiva sentenza che metterà un punto fermo all'annosa vicenda giudiziaria ritornata in Corte d'Assise d'Appello dopo che la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna con cui altri giudici di secondo grado (presidente Gabriella Reillo; a latere Francesca Garofalo) avevano ribaltato la sentenza di assoluzione emessa per tutti dal gup distrettuale nel 2017 (LEGGI QUI)..
Concorso in omicidio volontario, aggravato dall’art. 7 legge 203/91, l'accusa con la quale furono arrestati gli imputati per l'agguato mortale eseguito il primo marzo del 2002 quando, giunto al bivio di Maida alla guida del suo fuoristrada, l'avvocato Torquato Ciriaco fu raggiunto da tre colpi di arma da fuoco partiti da una Fiat Punto che venne poi trovata carbonizzata. Da lì l'avvio delle indagini, la cui svolta arrivò solo nel 2014, grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, che offrì nome e movente dell’agguato messo a segno con i fratelli Fruci per impedire che Ciriaco acquisisse un’impresa edile destinata ad altri. Seguì la testimonianza di Angela Donato, madre di Santino Panzarella (scomparso a luglio 2002, 4 mesi dopo il delitto Ciriaco), che fin dal 2005 raccontò di aver visto in un capannone prima dell’omicidio una Fiat Uno bianca, come l’auto utilizzata dai sicari per l’omicidio, sospettando che alla guida la sera del delitto ci fosse stato proprio il figlio.
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