Omicidio Gentile, ecco perché i giudici hanno ridotto la pena a Nicolas Sia. Procura generale pronta a ricorrere in Cassazione

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Nicolas Sia
  13 marzo 2020 09:58

di EDOARDO CORASANITI

Le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello d’Assise di Catanzaro per l’omicidio di Marco Gentile si muovono su un piano giuridico-tecnico che il giudice di secondo grado declina nelle nove pagine in cui si ripercorrono tutte le tappe della vicenda: i fatti della sera  del 24 ottobre 2015, la sentenza di prima grado, di secondo, le indicazioni della Corte di Cassazione e le nuove ragioni che hanno determinato i giudici di Catanzaro (presieduti da Marco Petrini, ora sospeso perché indagato nell’indagine “Genesi”) a riformulare la condanna a 12 anni di reclusione per Nicholas Sia, 19 anni all’epoca dell’accoltellamento consumato nel centro del capoluogo, e riconosciuto come colpevole dell’omicidio che ha lanciato la città su tutti gli organi di informazione d’Italia.

Due le finestre principali che i giudici d’appello hanno dovuto aprire per rileggere la vicenda: lo stato d’ira e il possibile rilievo del “comportamento di sfida proveniente di Gentile, nonostante lui fosse stato messo al corrente dell’avvenuto reperimento di un coltello da parte di Sia”.

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E se da una parte c’è l’attenuante della provocazione che va a braccetto con le attenuanti generiche, dall’altra ci sono la premeditazione e l’aggravante dei futili motivi. Nel bilanciamento, ad essere prevalente sono le prime rispetto alle seconde. Risultato che determina l’abbassamento della condanna: si passa da 17 anni stabiliti in primo grado, 16 in Appello, poi il passaggio in Cassazione e di nuovo la condanna a 12.

In questo gioco di numeri, è determinante rimandare alla memoria che Sia, difeso precedentemente dall’avvocato (ora sospeso perché indagato nell’indagine “Rinascita Scott”) Giancarlo Pittelli e Fabrizio Costarella, ha optato per il rito abbreviato, che comporta il taglio di un terzo della pena.


La traduzione dal giuridico al concreto è che “il fragile vissuto e la situazione psicologica dell’odierno imputato, le umiliazioni e vessazioni subite, sono elementi che depongono per la formulazione di un giudizio di preponderanza del duplice quadro delle attenuanti, rispetto alle due individuate aggravanti”, si legge nella sentenza. Tradotto: il giudice non può non tener conto “che nell’azione portata a termine dal giovane imputato sono prevalsi sentimenti di rabbia e protratta vergogna ingenerati dalle angherie, dai soprusi e dalle umiliazioni subite, assumendo rilievo altresì, fattori ambientali che hanno gravemente condizionato la condotta criminosa”.

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Sono proprio i giudici di secondo grado a bollare come “bullismo” le azioni precedenti a danno di Sia, finito al centro di un vortice di scherzi e di scherno da parte di tutta la compagnia ed in particolare di Gentile.

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Soprannome umiliante, soldi rubati, motorino trovato distrutto nei pressi della abitazione di un amico di Gentile, video in cui gli amici filmavano Sia dopo avergli abbassato le mutande. E ancora: gli facevano mangiare le formiche, lo facevano fumare e ridevano alle sue spalle (episodio confermato da un testimone), gli amici caricavano la sua bici su un albero e poi alla fine non gliela facevano ritrovare.

L’elenco dei dispetti del gruppo di Gentile è lungo e provoca in Sia uno stato d’angoscia che lo spinge ad armarsi di coltellino e presentarsi di fronte a Gentile. E’ il giorno dell’omicidio, ma Gentile ancora non lo immagina, tanto da pronunciare la frase diretta a Sia: “E’ vero che vuoi accoltellarmi? Passa poco e il 19enne oggi imputato sferra i colpi fatali a Gentile, che muore poco dopo tra il dolore dei genitori e parenti che mai hanno smesso di chiedere giustizia e che sono rappresentati in giudizio dagli avvocati Antonio Ludovico, Antonio Lomonaco, Alessio Spadafora e Arturo Bova.

La partita non è finita, però. Lette le motivazioni, la Procura Generale potrà presentare un nuovo ricorso alla Corte di Cassazione. Eventualità che si potrebbe già concretizzare nelle prossime settimane.

 

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