Omicidio Palumbo a Vibo: la Cassazione annulla la misura cautelare e rinvia per una nuova udienza

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  25 ottobre 2024 08:58

di STEFANIA PAPALEO 

La Corte di Cassazione ha deciso: per i presunti responsabili dell'omicidio di Michele Palumbo, vittima di un agguato compiuto sotto la sua abitazione, alle porte di Vibo Marina, nel 2010, una nuova sezione del Tribunale della Libertà di Catanzaro dovrà rivalutare le esigenze cautelari che li stanno tenendo ristretti in carcere fin da maggio scorso. In accoglimento di un ricorso presentato dall'avvocato Sergio Rotundo, i Supremi giudici hanno annullato con rinvio l'ordinanza di custodia cautelare pendente a carico di Salvatore Vita, 48 anni, di Vibo Marina; Francesco D’Ascoli, 52 anni, di Vibo Marina; Rosario Fiorillo (detto “Pulcino”) di Piscopio. Stessa decisione assunta per Salvatore Tripodi, 53 anni, di Portosalvo, difeso dagli avvocati Valerio Accortetti e Giuseppe Bagnato.

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A loro carico, dunque, l'accusa di omicidio, per avere eliminato Palumbo, in quanto ritenuto il riferimento di Pantaleone Mancuso cl. 61 alias “Sacrupini” e, quindi, un freno alle mire espansionistiche del gruppo criminale dei c.d. Piscopio e dei Tripodi, così come ricostruito nelle carte del blitz scattato all'alba del 6 maggio 2024 e che ha visto carabinieri e polizia bussare anche alla porta di Michele Fiorillo (detto “Zarrillo”), 38 anni, di Piscopio; Rosario Battaglia, 38 anni, di Piscopio; Stefano Farfaglia, 39 anni, residente a San Gregorio d’Ippona; Angelo David, 39 anni, di Piscopio; Francesco Alessandria (detto “Mustazzo”) di Sorianello e Antonio Staropoli di Vibo, del boss Pantaleone Mancuso, 63 anni, alias “Scarpuni”, di Nicotera (che sta scontando l’ergastolo), e dei fratelli di Stefanaconi Saverio Patania, 48 anni; Nazzareno Patania, 51 anni e Salvatore Patania, 46 anni.

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Si tratta di 14 persone accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio e tentato omicidio, estorsione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e altri delitti i quali per la maggior parte sono aggravati dal metodo mafioso (art. 416 bis. n.1 c.p.), ed altri gravi reati.

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