di STEFANIA PAPALEO
Dieci anni di lacrime e dolore. Dieci anni di sete di giustizia. Oggi la sentenza in Corte d'Appello a Catanzaro, presieduta da Gabriella Reillo (a latere: Domenico Commodaro), che “toglie ogni fiducia”.
I familiari di Francesco Rosso, ucciso a sangue freddo davanti alla sua macelleria di Simeri Crichi il 14 aprile 2015, hanno fatto un salto alla lettura della sentenza: a fronte dell'ergastolo comminato a mandanti ed esecutori in primo grado, i giudici oggi hanno ridotto la pena a 30 anni di reclusione per Francesco Mauro e Gregorio Procopio e 15 anni e 4 mesi di reclusione per Antonio Procopio e Vincenzo Sculco. Addirittura sentenza di non luogo a procedere per sospensione del procedimento e revoca del regimi degli arresti domiciliari per il mandante Evangelista Russo in quanto ritenuto "incapace di stare in giudizio" e, seppur socialmente pericoloso, controllabile attraverso la misura di sicurezza della libertà vigilata.
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Questo ciò che resta di un caso che aveva fatto clamore per il movente legato all'omicidio di un giovane onesto e benvoluto da tutti, rimasto vittima di una vendetta trasversale progettata da una mente criminale senza attenuanti, per il quale la Corte ha disposto il solo divieto di avvicinamento alle parti offese ad una distanza inferiore ai 500 metri e l'obbligo ogni 6 mesi di recarsi presso un istituto psichiatrico di sua scelta per accertare il proprio stato di malattia e divieto di uscire prima delle 8 e dopo le 20.
Vergogna, l'urlo di dolore dei familiari della vittima (rappresentati dagli avvocati di parte civile Nunzio Raimondi, Manuela Costa, Piero Mancuso e Macrì), che non fanno sconti in una dura presa di posizione che pubblichiamo di seguito:
"E’ inconcepibile tutto questo. Francesco è stato ucciso per la seconda volta e questa non è solo una sconfitta per la famiglia e gli amici ma, per l’intera collettività e soprattutto della giustizia, perchè il messaggio che si vuole far passare è quello che si può creare un commando di persone e programmare l’uccisione di una persona a questi sconosciuta e che non ha mai fatto nulla, per guadagnare pochi spiccioli e godere poi della riduzione della pena. Una condanna a vita si trasforma poi in una pena irrisoria mentre i familiari rimangono con la condanna a morte dell’anima perchè non potranno vedere più il loro figlio e fare sempre i conti con una sedia vuota.
Ci chiediamo inoltre se è giusto che Antonio Procopio, dopo 10 anni, con la mossa dell’ultimo momento, presentando una lettera di scuse e pentimento, abbia ricevuto uno sconto di pena e se è questo il motivo di tale decisione. attendiamo ormai invano di leggere la sentenza. Vergogna lo grideremo fino allo sfinimento perché non si può accettare una cosa del genere".
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