di PAOLO CRISTOFARO
Avevano espresso la volontà di non essere inseriti nel programma speciale di protezione in qualità di stretti congiunti di un collaboratore di giustizia. Ma il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, non ha condiviso la loro decisione, avanzando la richiesta, al Tribunale dei Minori, di allontanare la minore in una località protetta, salvo l'adesione dei genitori stessi al programma proposto dal Servizio Centrale di Protezione. Date le circostanze, il programma è stato poi accettato dagli stessi, che però, senza successo, hanno fatto ricorso al Tar del Lazio, la cui sentenza (presidente: Francesco Arzillo; estensore: Francesca Romano) respinge le obiezioni avanzate.
Fin dall'inizio i genitori, avevano espresso contrarietà circa le misure adottate dalla Servizio Centrale di Protezione, dalla Procura e dal Tribunale poi, sostenendo che "non sussisterebbe nei loro confronti, per l’estraneità di vita rispetto a quella del collaboratore (padre della donna e quindi nonno della bambina) e la lontananza anche fisica dal suo luogo di residenza, alcuna situazione di pericolo". Ma il Procuratore, invece, "agendo nell’interesse della minore, si era rivolto al Tribunale perché provvedesse al collocamento della minore medesima in luogo protetto, salva l’adesione dei genitori al programma proposto dal Servizio Centrale di Protezione e previa adozione, in caso di negativo riscontro, della sospensione della responsabilità genitoriale di entrambi".
"La Procura della Repubblica competente, ravvisando il grave pericolo per la incolumità personale della figlia minore dei ricorrenti, chiedeva ed otteneva l’intervento del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro che, con apposito decreto, confermato dalla Corte di Appello di Catanzaro, disponeva l’allontanamento della minore dall’abitazione familiare, affidandola al Servizio Centrale di Protezione", spiega il Tar. A quel punto, sentiti anche i genitori, si è deciso di includere anche loro nel programma di protezione, in quanto, stando alle indicazioni della Procura e della Corte d'Appello, potevano esserci "atti ritorsivi o vendette in danno dell’intero nucleo familiare del collaboratore di giustizia da parte delle famiglie [...] residenti peraltro in luoghi vicini a quello in cui si trova la minore". Il ricorso dei genitori, in conclusione, avanzato al Tar contro il Ministero dell'Interno e la decisione del Servizio Centrale di Protezione, è stato respinto.
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