Pentiti “abbandonati”, l'avvocato Conidi: "Lo Stato si riprende i soldi per la loro rinascita"

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images Pentiti “abbandonati”, l'avvocato Conidi: "Lo Stato si riprende i soldi per la loro rinascita"
L'avvocato Maria Claudia Conidi
  13 agosto 2025 09:15

di M. Claudia Conidi Ridola*

In Italia la collaborazione con la giustizia è sempre stata presentata come un’arma decisiva contro le mafie. Ma dietro la retorica degli arresti eccellenti e dei maxi-processi, si nasconde una realtà inquietante: chi decide di rompere il patto con la criminalità organizzata e testimoniare rischia di ritrovarsi solo, povero e dimenticato.

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Secondo diverse testimonianze raccolte, lo Stato — che inizialmente garantisce protezione e un percorso di reinserimento — alla fine della collaborazione sottrae ai pentiti anche quelle risorse economiche previste per ricostruirsi una vita: le cosiddette “capitalizzazioni”.
Si tratta di somme stabilite dalla Legge n. 82/1991, nata per incentivare le collaborazioni con la giustizia 
Questa norma prevede, alla cessazione del programma di protezione, la possibilità di ricevere un importo una tantum per consentire al collaboratore e alla sua famiglia di avviare una nuova vita in un contesto sicuro e dignitoso.

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Ma negli ultimi anni, denunciano più fonti, tali somme vengono decurtate o azzerate per coprire debiti erariali, persino quando questi derivano da situazioni accumulate durante il periodo di collaborazione e di protezione, in cui lavorare era impossibile.

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Un caso emblematico è quello di P. R.,  collaboratore di giustizia in precedenza legato alla ’Ndrangheta. Dopo aver fornito informazioni cruciali per indagini delicate, vive oggi con appena 342 euro al mese, la stessa cifra percepita dalla sua compagna.
Oltre al dramma economico, arriva l’assurdo burocratico: lo Stato pretende che entrambi trovino un lavoro, come se il mercato fosse pronto ad accogliere due persone la cui identità è segreta e la cui vita è stata segnata per sempre dalla rottura con una delle organizzazioni criminali più spietate al mondo.

“Così non si pente più nessuno. Le procure dovranno fare a meno dei collaboratori di mafia, perché hanno capito che lo Stato li usa finché servono e poi li butta via”, racconta una fonte interna al programma di protezione.

 

Molti esperti del settore sostengono che questa prassi contrasti con lo spirito originario della legge, che intendeva garantire la risocializzazione e proteggere chi, rompendo con la criminalità, perde per sempre la propria rete di sostentamento, il lavoro e la sicurezza.

Il rischio? Che la mafia torni a contare solo sulla legge del silenzio, con la collaborazione di giustizia ridotta a un’arma spuntata. E mentre lo Stato si autocelebra per le operazioni antimafia, le vite di chi ha rischiato tutto per parlare finiscono in un limbo di precarietà e abbandono.

Un paradosso che mina alla radice la lotta alla criminalità organizzata: chi si fida dello Stato, oggi, rischia di perderci tutto.


- LA LEGGE CHE DOVEVA SALVARE I PENTITI… MA ORA LI AFFOSSA

Cos’è e cosa prevede la Legge 82/1991

Obiettivo originario: proteggere i collaboratori di giustizia e garantire il loro reinserimento sociale.

Misure chiave:

Programma speciale di protezione: nuova identità, trasferimento, sostegno economico.

Capitalizzazione finale: somma una tantum per ricominciare da zero in sicurezza.


Fondamento giuridico: Legge 15 marzo 1991 n. 82, modificata dal D.L. 8/1991 e dal D.Lgs. 119/1993

Il nodo critico di oggi: le capitalizzazioni vengono tagliate o azzerate per coprire debiti fiscali maturati durante la protezione.

Effetto collaterale: rischio concreto di scoraggiare future collaborazioni, lasciando alla mafia il vantaggio della legge del silenzio.

Appello alle istituzioni

Il Procuratore Nicola Gratteri, simbolo della lotta senza compromessi alla criminalità organizzata, ha sempre invitato i cittadini a denunciare, a fidarsi dello Stato, a rompere il muro dell’omertà.
Ma oggi, di fronte a storie come quella di P. R. e di tanti altri collaboratori dimenticati, la domanda è inevitabile: come convincere i futuri testimoni a parlare se chi lo ha già fatto vive nella miseria e nell’abbandono?

Questo non è solo un problema di assistenza sociale: è un vulnus nella strategia antimafia.
Se lo Stato vuole continuare a chiedere coraggio, deve dimostrare di saperlo premiare e proteggere fino in fondo.
Il tempo delle promesse è finito: o si salvano i pentiti, o si rafforza il silenzio delle mafie
*avvocato

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