Il Consiglio di Stato ha condannato il Ministero a versargli 155 mila euro
24 giugno 2020 23:57di PAOLO CRISTOFARO
Il Ministero dell'Interno dovrà risarcire con 155mila euro un collaboratore di giustizia originario del reggino al quale, dal 2009 al 2011, mentre era sottoposto a programma speciale di protezione, non è stato consentito di recarsi nella sua terra d'origine, precisamente a Melito Porto Salvo, per curare la sua attività agricola definita dallo stesso "di rilievo". Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con una sentenza emessa pochi giorni fa (presidente: Francesco Arzillo; estensore: Francesca Romano).
L'uomo - insieme ad altri ricorrenti legati alla vicenda, la cui identità è stata omessa per ovvie ragioni, difesi tutti dagli avvocati Andrea Pettini e Pietro Rizzo - aveva presentato ricorso già nel 2012. Egli era titolare di un'azienda agricola e zootecnica, ma gli sarebbe stato impedito, dal Servizio Centrale di Protezione, di recarsi presso i suoi terreni e di prendersi cura delle varie questioni, venendogli consentito invece di spostarsi solamente per i impegni di natura giudiziaria. I giudici hanno scritto che "si desume l'antigiuridicità obiettiva del comportamento tenuto dall'amministrazione nell'aver opposto i dinieghi di autorizzazione". In buona sostanza, avrebbero dovuto accordare i permessi al pentito.
All'uomo vengono riconosciuti quindi vari danni subiti in quanto impossibilitato a prendersi cura dell'azienda, tra i quali erogazioni pubbliche mancate, coltivazioni biologiche e di ulivi bloccate, incendi che hanno colpito la zona. Per i giudici non appaiono chiari i motivi che hanno spinto il Servizio Centrale di Protezione a non consentire all'uomo di recarsi nella sua terra, sostenendo che non sarebbero neppure state sottolineate particolari esigenze legate alla sicurezza.
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