Politiche, l'analisi di Cimino: "In Calabria hanno vinto tutti e non si dimette nessuno"

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Franco Cimino
  28 settembre 2022 12:05

E poi c’è la Calabria. In Italia e nel Mezzogiorno. C’è con tutti i suoi drammi e con il problema che li presiede e li aggrava, l’assenza quasi totale della Politica. Qui i partiti non ci sono da un ventennio neppure per finta. Neppure per recitazione della parte, come avviene in altri posti. Non ci sono le sedi sul territorio e neppure nelle città più importanti. Non ci sono gli organi di partito e neppure una parvenza di gruppi dirigenti sia a livello dei piccoli paesi, sia a livello provinciale e regionale. Appaiono nelle dichiarazioni alla stampa o nei piccoli salotti delle televisioni locali nomi e personaggi rappresentanti questo o quel partito senza sapere da quale congresso o assemblea siano usciti. Anche costoro, quindi, nominati da quella “ Roma padrona” che dallo stesso tempo, e di più nelle ultime elezioni, nomina i parlamentari e le più alte cariche dello Stato e delle regioni. Di questo fenomeno e delle cause che lo producono noi ne abbiamo parlato sempre. E fin da quando, con la prima legge elettorale imbrogliona e la costruzione di partiti persona, ne abbiamo denunciato il tentativo, non proprio mascherato, di realizzare, sul terreno soft e sulla capacità di persuasione ( obnubilazione) dei nuovi proprietari dei “ mezzi di potere” ( finanziario e massmediale ) un progressivo sovvertimento dei sistemi democratici. Un “golpe” della globalizzazione che senza carri armati ed eserciti( ancora solo in mano a quegli stati e staterelli lontani da questi processi della modernità, vedi Russia, Bielorussia, Ungheria e similari) hanno imposto un nuovo autoritarismo solo attraverso la radicale modificazione del significato e del temine democrazia. Tanti infatti sono le sue nuove denominazioni, tutte aventi nella sostanza il significato di sottrarre potere ai cittadini, in taluni casi, populismo e nazionalismo, costruendo il più falso e ingannevole dei rapporti, quello diretto tra il capo, eletto direttamente, e il popolo, senza alcuna mediazione delle istituzioni, usate, invece, come strumenti innocui al servizio di quel potere diversamente “autoritario”. Ma di questo torneremo a parlare in modo più organico in altri contesti. Qui mi preme riprendere un solo concetto già da me trattato in questi giorni, quello della personale responsabilita dinanzi alla sconfitta elettorale di coloro i quali hanno ricevuto la guida o la rappresentanza del proprio partito. Per il piano nazionale abbiamo già detto con riferimento, in particolare, a Calenda, Salvini e Letta, scelte come si sa diverse tra loro. Della Calabria, invece, diciamo con maggiore disagio. Nella nostra regione vincono soltanto, e per ragioni diverse, Occhiuto, la Meloni e Conte. Perdono tutti gli altri e clamorosamente. Lasciamo stare le risibili dichiarazioni trionfalistiche dei supporter del cosiddetto terzo polo, che annunciano di una bella vittoria con il loro quattro per cento calabrese, la metà esatta che la stessa formazione politica ha ottenuto mediamente su scala nazionale. Lasciamo pure stare la muta indifferenza dei rappresentanti regionali della Lega che qui, con due assessori e il presidente del Consiglio regionale, perdono con il loro cinque per cento anche l’anima che, tra trasformismo e opportunismo, non hanno mai avuto. E lasciamo stare pure quei centrini e rivoluzionarini che neppure se fossero i soli in campo avrebbero ricevuto considerevole attenzione. Ciò che più imbarazza è la posizione dei vertici regionali del PD. Nella Calabria della più vasta astensione dal voto( poco meno del cinquanta per cento, la condanna più grave per un partito che si voglia dire popolare, democratico, innovatore e alternativo alle destre e a chi per essa governa la Regione) il PD, che a mala pena raggiunge il quattordici per cento pur se un’assurda legge elettorale lo premia con tre parlamentari eletti, si presenta con i suoi vertici, super premiati con i diversi posti personali occupati nelle istituzioni, “tomo tomo” direbbe Totò, e tranquillo tranquillo parla dei risultati elettorali e di alcune cause che l’avrebbero prodotto, come un sociologo e un analista politico farebbe a distanza dei fatti. Nessun riconoscimento di responsabilità anche locali e personali. Nessuna autocritica, pur minima. O anche autoassolutoria, del tipo “c’era il temporale e la mareggiata e la guerra in Ucraina, e non avevamo le competenze( le forze, sì) per bloccarle”. Un rapido accenno ai congressi che verranno, ma non il più elementare gesto che si possa riassumere così:” ho dato tanto e ho ricevuto assai di più dal Partito e dalla Calabria o dalla mia Città, mi tengo l’incarico istituzionale ricevuto, ché assai mi serve per ovvie ragioni, chiedo scusa di errori e inadeguatezze mie, e mi dimetto dalle cariche che ricopro nel partito, perché corresponsabile della pesante sconfitta, che troppo graverà sulle spalle della nostra terra e quelle ancor più deboli di militanti ed elettori del PD. Quelli di oggi, che ci hanno votato, nonostante noi. Quelli che non ci hanno votato perché presenti noi. E quelli che un prossimo domani potranno arrivare se sapranno che non ci siamo più noi.” Nulla di tutto questo. Quel cinquanta per cento crescente se ne resti pure a casa, questo potere unitario e unificante, non ha bisogno di loro. Il restante cinquanta per cento, riducibile progressivamente( pochi siamo meglio stiamo) dalla loro crescente fragilità, riceverà la spinta, dal bisogno vitale rafforzata, a sopportarli ancora. “Ché non si vorrà davvero pensare che cambieremo questa legge elettorale?” “ Povera Calabria. Povera Politica. E poveri noi!
Franco Cimino

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