di Francesca Froio
La casa è nell’immaginario collettivo il posto dove ci si sente a proprio agio, sicuri, amati e protetti. Pensare di essere costretti a distaccarsene sarebbe assurdo agli occhi di chiunque, ed invece per qualcuno è l’unica, inconcepibile, possibilità data.
Succede a Cropani, dove a ben 11 giorni dall’accaduto, ormai noto alle cronache nazionali, quello che riguarda il crollo del ponte che collega contrada Melito al centro abitato, ancora nessuna soluzione, neppure momentanea, è stata trovata.
Unica e sola la risposta fornita dalle istituzioni alle tre famiglie isolate: abbandonare le proprie case, abbandonare i propri averi alla mercanzia di tutti ed ancora abbandonare i propri animali ad un destino che non è difficile da immaginare.
Quello che è difficile è invece immedesimarsi nelle vite di queste persone, private della loro libertà di essere, della loro quotidianità, secondo le istituzioni competenti, sino a data da destinarsi, perché quel “subito”, garantito sin dalle prime ore, riguardante l’ intervento di somma urgenza tanto “subito” ha dimostrato di non essere.
Intanto il tempo passa e tra qualche giorno le due minorenni appartenenti a questa famiglia dovranno recarsi a scuola, su quei banchi sentiranno parlare di diritti, di futuro e di speranza, ma quanto potranno credere a quelle parole? Quanto potranno credere davvero che l’impegno paga, che a tutto c’è un’alternativa e che la società in cui viviamo è garante di diritti se a loro stesse è negato quello di poter vivere serenamente nella propria casa?
Tanti i messaggi di solidarietà che in questi giorni stanno giungendo alle vittime di questa triste vicenda, tanti i messaggi di incoraggiamento a non arrendersi, tanti coloro che continuano a domandarsi il perché ad oggi nessun passaggio alternativo, nessuna risposta che permetta a questa gente di poter vivere e non sopravvivere.
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