Autobomba a Limbadi. Vito Barbara nelle intercettazioni si meravigliava di essere ancora libero

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images Autobomba a Limbadi. Vito Barbara nelle intercettazioni si meravigliava di essere ancora libero

  19 ottobre 2020 18:08

di TERESA ALOI

E' il 9 aprile del 2018 quando su una strada sterrata nei pressi di Cervolaro, nel Vibonese, esplode una bomba all’interno di un’auto. A bordo, Matteo Vinci e il padre Francesco. Il biologo, 42 anni, muore  sul colpo, mentre il padre  pur ferito riesce a chiamare i soccorsi.

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Lì, a Limbadi, la ‘ndrangheta spadroneggia: si respira nell'aria. Ovunque. La sua spocchiosità non conosce limiti. "Un omicidio spettacolare", lo ha definito il procuratore Gratteri durante la conferenza stampa per illustrate gli arresti eseguiti stamattina. 

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LEGGI ANCHE QUI.  Autobomba a Limbadi. Gratteri: "Messaggio lanciato per terrorizzare tutto il vibonese" (VIDEO)

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Spettacolare, già. Per mostrare i muscoli. Per sfidare lo Stato. Quello stesso Stato che stamattina ha assicurato i responsabili alla giustizia. Matteo Vinci, però, a quelle condizioni non si era mai piegato. A quelle condizioni non era disposto a scendere. Quei terreni confinanti con quelli della famiglia Mancuso, erano troppo importanti. E non per il valore economico. Era stato grazie a quelli che Matteo aveva potuto studiare. Laurearsi.  Profumavano della fatica di una vita. Di quella fatica sana, buona. Irrigati dal sudore della fronte. Di gente per bene. Matteo Vinci ha difeso con le unghie e con i denti le sue radici.

Ecco perché fa ancora più male leggere, tra le carte dell'ordinanza, quelle frasi sprezzanti. Due mesi dopo l’esplosione dell’autobomba, chi ha compiuto il gesto si dice soddisfatto: "Li abbiamo sotterrati tutti". C'è soddisfazione e compiacimento per l’attentato. E odio e rancore nei confronti della famiglia Vinci-Scarpulla. Si rammaricano che i coniugi  non si sarebbero più recati sul fondo da soli, "ma sarebbero stati sempre accompagnati dalle Forze dell’Ordine ("i cani”).

Ci sono conversazioni nelle quali Vito Barbara e la moglie "si attribuiscono inequivocabilmente l’attentato", e altre in cui sempre Vito Barbara "si meraviglia di essere ancora in libertà".

Una lunga storia di odio, rancore e sopraffazione. Per un terreno. Un pezzo di terra. Violenze, minacce, anche con l'uso delle armi "condite"  dall’evocazione del potere ‘ndranghetistico della cosca Mancuso. Tutto per la cessione di  un terreno senza alcuna giustificazione giuridica

 

 

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