di CLAUDIA FISCILETTI
“Coronavirus, uno sguardo sociologico” sarà una lezione congiunta, la prima in tutta Italia nell’ambito sociologico, che tratterà il delicato tema delle conseguenze che il coronavirus sta avendo sulla comunità. Verranno poste delle riflessioni dai sociologi che vi parteciperanno e che tenteranno di rispondere alle domande che ci stiamo ponendo tutti in questo periodo particolare, tra cui quanto il covid-19 abbia inciso sui rapporti sociali, sul lavoro e sul concetto di comunità. Un’iniziativa annunciata dal professore Cleto Corposanto e che coinvolgerà i suoi colleghi, tutti docenti del dipartimento di Sociologia all’Università Magna Graecia di Catanzaro, i professori Charlie Barnao, Eleonora Venneri, Guido Giarelli, Umberto Pagano, Beba Molinari, Francesco Caruso ed Emilio Gardini. Una lezione in diretta streaming sulla piattaforma del Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Sociologia, che inizierà il 15 aprile dalle 10 per alle 13. “E’ una lezione rivolta ai nostri studenti, ma abbiamo ricevuto richieste di partecipazione anche da coloro che sono già laureati. Vorrebbero seguirla in tanti”, spiega il professore Corposanto che ha risposto ad alcune domande per La Nuova Calabria.
Professore Corposanto, come mai è stato deciso di fare questa lezione congiunta e com’è stata accolta dai suoi colleghi?
“E’ un’iniziativa che è stata accolta molto bene. Insegniamo tutti a Sociologia e siamo tutti impegnati nella didattica online. Dal momento che siamo una comunità scientifica che discute, ci scambiamo spesso idee su quello che sta succedendo e sul suo significato. Adesso è ovvio che siamo tutti presi dagli aspetti sanitari della vicenda, però è altrettanto innegabile che questa situazione incide ora, ed inciderà molto di più in futuro, sui rapporti sociali. In quanto sociologi studiamo il funzionamento della società e il Presidente del Consiglio Conte nell’ultima conferenza stampa, ha detto che nella task force della fase 2 per far riemergere l’Italia dall’emergenza covid-19, ci sarà un gruppo di esperti composto anche da sociologi, psicologi ed esperti del mercato del lavoro. Questo dimostra come i sociologi abbiano qualcosa da dire su come riaprire la grande industria che rappresenta la nostra società. Senza dimenticare che uno dei pilastri portanti dei nostri studi è proprio la salute e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiarito che lo stato di salute perfetto di una popolazione riguarda gli aspetti biopsicosociali, quindi una società che ha carenza di occasioni per fare rete sociale è una società che rischia di ammalarsi. Una società malata non fa bene a nessuno, e questo è alla base del discorso teorico che abbiamo fatto. Quindi ci siamo detti di fare una cosa diversa, piuttosto che fare ciascuno lezione nella propria classe in maniera tradizionale sia pure online, unendoci e creando un discorso che tocca i diversi aspetti della sociologia. Ad esempio abbiamo chi si occupa di analisi dei dati, e la comunicazione dei dati è in questi giorni perché spesso i dati non coincidono, si sceglie di darne alcuni e non altri. Ragionando su queste cose abbiamo pensato di mettere insieme un convegno online per ragionare su come i sociologi pensano che questo tipo di situazione possa incidere sulla vita. Questa emergenza è una cosa nuova per il 90%delle persone, è una situazione che nessuno di noi ha mai vissuto e quindi non si sa come ne usciremo. Proveremo anche a ragionare su cosa vuol dire una vita fatta di distanza fisica e non di distanza sociale. Per noi sociologi la distanza sociale è tutt’altro da quella che dicono in televisione. Quella che bisogna mantenere è la distanza fisica di un metro, forse anche più, che ci preserva da un eventuale contagio. La distanza sociale è altro e credo che per venire fuori da questa emergenza non dobbiamo assolutamente essere socialmente distanti perché ci vuole una cultura della prossimità sociale in quanto essa fa il senso della comunità”.
Ci stiamo servendo della tecnologia proprio per ottemperare a questa distanza sociale che lei ha nominato. La tecnologia non sempre è vista di buon occhio ma, in questa situazione particolare, secondo lei ha una connotazione negativa o positiva?
“Assolutamente è positiva. E’ evidente che la scuola e l’università saranno le ultime ad essere aperte perché purtroppo sono quelle nelle quali le distanze fisiche sono più difficili da gestire. E’ difficile nelle classi far stare gli studenti ad un metro di distanza l’uno dall’altro. La tecnologia in questa fase è risolutiva, se non ci fosse stata la possibilità della rete avremmo dovuto chiudere, mandando all’aria l’anno scolastico e l’anno accademico e ognuno sarebbe rimasto chiuso a casa ad aspettare che “cambi il vento”. Invece la tecnologia è fondamentale e in futuro può fare da supporto. Penso che questa vicenda ci lascerà anche qualche eredità positiva, perché molti hanno scoperto che si può lavorare in un altro modo e anche lavorare meglio, quindi offrendo un prodotto migliore e prendersi un po' più cura di sé. Si alla tecnologia basta che però non sia totalmente sostitutiva del rapporto sociale, fare lezione in diretta è un po' diverso dal punto di vista dell’apprendimento perché altrimenti le scuole le università le avremmo fatte tutte telematiche. Non dimentichiamo che le relazioni sociali sono fondamentali per il nostro benessere complessivo”.
Come vede che i suoi studenti stanno reagendo a questo nuovo modo di fare lezioni, esami, lauree a distanza?
“Sono sconcertati. Qualche giorno fa ho fatto il primo appello e devo dire che li ho trovati un po' spaesati. La tecnologia è teoricamente molto valida però poi bisogna fare i conti col fatto che ci potrebbero essere dei problemi di collegamento e questo ci costringe anche fare i conti con i limiti strutturali della tecnologia. Nei nostri esami bisogna interagire e ragionare, non è agevole quando le domande arrivano con un certo ritardo nell’audio. Si, ci siamo guardati tutti in faccia e ho visto qualche faccia un po' stranita. Sembrava tutto irreale. Adesso stiamo organizzando le sedute di laurea ed è complicato, stiamo ragionando su come fare, non è semplice”.
Secondo lei, in quanto sociologo, come sarà l’Italia dopo il coronavirus?
“Non penso che quando “apriranno le gabbie” usciremo tutti all’improvviso, credo che questo senso di paura, questa ritrosia alla vicinanza alla fine l’avremo interiorizzata. Usciremo ma con qualche sospetto che però farà bene perché all’inizio non converrà tornare alle stesse abitudini di prima. In parte questa tendenza a stare distanti ci cambierà un po' la vita, poi è evidente che nel tempo potremo parzialmente rimuovere il ricordo di questo momento ma non ce ne dimenticheremo mai totalmente. Abbiamo costruito luoghi di aggregazione di massa, centri commerciali, discoteche, cinema, col convincimento che più gente produce più merce di scambio e quindi arrivano più soldi, ma non è così. Probabilmente torneremo a frequentare i negozietti più piccoli, perché in uno spazio ristretto dove può entrare meno gente ci sentiremo più al sicuro. Ci sarà forse una ripresa del commercio in questo tipo di negozi. Verranno riprese in considerazione tutte le situazioni a cui prima eravamo abituati e che adesso potrebbero cambiare".
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