di GIORGIA RIZZO
E' un grido disperato quello di Mirko Spanò, 31 anni, giovane di Cetraro rimasto bloccato a Milano, dove lavora come autista. L'ultimo Decreto firmato per fronteggiare l'emergenza sanitaria in corso gli impedisce di tornare a casa, in Calabria, dove lo aspetta la sua famiglia, una moglie e una figlia piccola di appena un anno e mezzo.
La sua è una delle tante storie di uomini, donne, figli, madri, mariti, costretti a rimanere lontani dalla propria terra, nella zona in cui più si avverte la pesantezza di una situazione tragica, in un limbo in cui non si sa ancora quando se ne uscirà per poter riabbracciare in propri cari, mentre le debolezze si fanno sempre più sentire. Un disagio collettivo che si è trasformato in un appello, una raccolta firme su Change.org indirizzata al presidente del consiglio Giuseppe Conte che si richiama al "diritto di tornare a casa" attraverso dei corridoi umanitari. "La mia proposta è quella di tornare con dei treni appositi e una volta arrivati venire identificati e costretti alla quarantena", dice Mirko. La stessa inviata da alcuni consiglieri di minoranza alla governatrice della Calabria, Jole Santelli.
A pesare non è solo una situazione psicologica e affettiva di per sé al limite, ma anche problemi materiali come la perdita del lavoro e l'impossibilità di pagare l'affitto e sostenere la propria famiglia. "La mia attività lavorativa è sospesa fino al 3 maggio e non so ancora per quanto verrà prorogata. Adesso sono in cassa integrazione e non riesco nello stesso tempo a mantenere me stesso, mia moglie e mia figlia. Le nostre famiglie devono mangiare, a questo chi ci pensa?", spiega Mirko.
A poco più di un mese da quello che fu descritto come l'esodo dei giovani meridionali da Milano e l'assalto alle stazioni, Mirko ricorda: "Non siamo scesi per salvaguardare chi ci sta intorno, per senso di responsabilità, ma di noi chi se ne occupa? In tanti sono rimasti mentre i loro compagni di stanza sono andati via e adesso su di loro pesa ancora di più una fragilità psicologica. C'è un gruppo whatsapp con centinaia di membri che si chiama "Io torno a casa mia", dove la gente racconta le proprie difficoltà". Mirko ha provato a prendere il treno più volte, ma è stato fermato alla stazione. Ha spiegato la sua condizione alle forze dell'ordine, ma per la fredda burocrazia gli affetti e il poco denaro non sono motivi di necessità. "Io non voglio violare nessuna norma, ma ci hanno abbandonati. Questo è un sequestro, impedirmi di tornare a casa mia. Mi sveglio ogni mattina sperando che qualcosa cambi".
Dietro ogni caso ci sono esigenze diverse, umane. La rabbia è tanta verso le istituzioni, ma è una rabbia lucida che si sta trasformando in un impegno a fare sensibilizzazione e diffondere l'appello: "Ci appelliamo alla governatrice Jole Santelli. E speriamo che ci ascoltino a livello nazionale".
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