Franco Cimino: "Iole, la ragazza che va, Santelli, la presidente che resta"

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images Franco Cimino: "Iole, la ragazza che va, Santelli, la presidente che resta"

  17 ottobre 2020 21:32

di FRANCO CIMINO
 
Come si può sentire dolore vero senza doversi impegnare a giustificarlo o senza avvertire quel senso di colpa che te ne fa vergognare? Non so quanti in Calabria e fuori avvertano questa sensazione dinanzi alla morte improvvisa di IoIe Santelli, ma io sto facendo una fatica enorme, quasi fisica, per viverlo con la stessa schiettezza con cui ho espresso le mie la opinioni politiche in questi durissimi otto mesi che hanno preceduto( e preparato?) il drammatico evento.
 
Ti assale il dubbio che anch’io non stia facendo come tanti che su questa morte atroce danzano con la stessa ipocrisia con cui vivono la quotidianità delle proprie relazioni sociali. Perché, diciamolo con franchezza, l’ipocrisia e l’invidia sono i due ganci da cui non ci sganciamo mai. Tutti, diciamo anche questo con schiettezza. Tuttavia, resisto a tali debolezze e affermo nuovamente che sono molto addolorato per la morte di Iole Santelli. Iole, la ragazza che non sarebbe potuta diventare vecchia per quei sogni di bambina che la vita le ha negato e che lei considerava, in cuor suo, soltanto rinviati.
 
Ai bambini la fata non nega nulla, basta aspettare. E restare bambini. Iole lo ha fatto, mentre tutti volevano che fosse diventata già grande dal suo primo giorno a Roma e dal suo primo, ora assai lontano, ingresso in Parlamento. E poi, grande e matura, saggia e maestra, potente e infallibile, quando ha occupato, da autentica padrona, l’undicesimo piano di quel palazzo di un appariscente potere, posto nel sito più noto ormai come Germaneto, una caratterizzazione territoriale, questa, che la politica, regionale e catanzarese, ancora stenta a capire. Santelli, la presidente della regione arrivata a ricoprire questo ruolo davvero per caso o per destino. Ovvero, perché questa politica regionale, a destra e a sinistra, non ha saputo creare altro che il vuoto davanti a sé. Santelli, il primo presidente donna, che già cominciava a dismettere gli abiti che la vecchia politica le aveva cucito addosso con le logore stoffe che aveva negli armadi cadenti.
 
Voleva fare discorsi nuovi. I primi riguardavano la forma e lo stile. Su di essi faceva gioco il suo essere donna e quella femminilità che prorompeva da quel ruolo “ maschio” e dalle preoccupazioni, anche di salute, ché non è mica una passeggiata sulla spiaggia curare una malattia che solo pochi anni fa passava per incurabile. Santelli, la presidente, credo che avesse tra i suoi primi obiettivi la femmilizzazione del potere, qualità cui anche gli uomini dovrebbero agganciarsi per star meglio loro e far star bene le istituzioni. Basterebbe anche qui iniziare con poco. Linguaggio meno volgare, puntualità rispetto all’ora d’inizio delle riunioni, essenzialità e coerenza negli interventi all’interno delle stesse, conclusione delle riunioni, a qualsiasi livello, in un’ora civile, distinzione rigorosa del tempo della politica da quello della famiglia e della cura di sé, qualche lettura in più per i politici che già leggono e la ripresa degli studi per coloro che ne hanno fatti pochi.
 
E, ancora, un po’ di ironia per sdrammatizzare l’ambiente surriscaldato, qualche battuta leggera, qualche sorriso e volti più distesi e almeno dieci strette di mano al giorno. E, ancora, apparizioni televisive il minimo indispensabile e la ripresa del “noi “ rispetto al ricorrente “io”, quando si è in rappresentanza di un’istituzione o al comando di un’amministrazione. Per esempio: “ noi stiamo facendo; noi abbiamo fatto; noi pensiamo di fare( qui un pizzico di umiltà non guasterebbe al riparo del “ faremo) in luogo di “ io faccio; io ho fatto; io farò.” Se, poi, le situazioni e le stupide provocazioni o le arroganti offese con l’aggiunta di insinuazioni volgari, dovessero proprio fare arrabbiare o indignare, lo stile femminile e il suo educato linguaggio, possono, una tantum, consentirsi un bel vaffa o un più colorito “ mi avete rotto i coglioni”. Specialmente sulla bocca di una donna ci stanno proprio bene. Ecco, Santelli presidente, stava iniziando da qui e non faceva male, atteso le simpatie che stava riscontrando fuori regioni e anche tra molti calabresi. Anche tra i più forti antagonisti e resistenti alla guerra passata, questo modo di fare procurava almeno un certo disorientamento e quelle perplessità su cui sospesa stava la domanda classica “ ma ci è o ci fa?” Naturalmente, occorrerebbe tanto altro ancora per cambiare, iniziando dall’estetica, la politica affinché possa riprendere a essere pronunciata con dolcezza e a essere scritta con la P maiuscola. Occorre chiudere con i sentimenti di odio e con quelli del rancore, dietro i quali si nasconde lo spirito di vendetta e la voglia di far male. Parimenti, con “ quell’amicalismo” falso e perfetto. Perfetto in quanto falso. In altri luoghi si chiamerebbe clientelismo, quel metodo rozzo che divide i calabresi tra amici degli amici, da favorire in cambio del voto e di una schiavistica fedeltà a uno sciocco che s’erge a padrone, e i nemici. I nemici sono di due tipi, l’amico -cliente del nemico-avversario, e coloro che per rassegnazione o ribellione si rifiutano di entrare in questo brutto circo. Chiudere bisognerebbe anche con qualsiasi atteggiamento che lasci gran parte della politica in uno stato di soggezione verso gruppi affaristici e mafiosi.
 
Ovvero, con quelli che nei sotterranei della democrazia, in associazionismo di diversa segretezza, decidono per la politica e al posto della politica, spesse volte in stretta alleanze con la ‘ndrangheta e le diverse mafie. Per non finire senza dilungarsi oltre, “ aprire”. A una nuova classe dirigente. A tutti i livelli, sia del governo sia della burocrazia, della politica in generale come della partitica. Una classe dirigente che spinga al cambiamento tutti i settori della società, da quelli della formazione a quelli dell’economia. Ma come deve essere una classe dirigente nuova? Per non incorrere nuovamente nell’imbroglio di un giovanilismo di vecchi notabili col viso da ragazzino o di un nuovismo mascherato da “ primo affaccio alla ribalta, occorre mantenersi un po’ femminili nell’impegno sociale e politico. Uomini e donne, educati alla sensibilità profonda con cui intelligere la realtà. E formati alla gentilezza e finezza espressiva con cui porgere se stessi, governanti, e l’azione di governo, specialmente nel confronto nella e con la politica. E con la gente, intesa come la somma di ogni singola persona cui è destinato l’agire politico. Santelli presidente, ha avuto solo otto mesi di guida. Troppo pochi per poterla vedere impegnata su tutti questi fronti, ammesso che i radicati centri di potere le consentissero anche solo di approcciarli. Tuttavia, per il piglio e il carattere che ha mostrato in questi mesi, e quella sensazione che in molti sollecitava quel viso gitano e quegli occhi di ragazza, la speranza che quel presidente potesse avviare un qualche cambiamento, iniziava a farsi largo nel mare di diffidenza che l’aveva vista navigare sia pure con una barca vecchia e inadeguata. Purtroppo, non potremo vedere questa speranza muoversi nella difficile terra che, come tanti eserciti in lotta, ci vede popolo senza guida e senza anima di “regione”. Iole Santelli(prima Iole, la ragazza, e poi Santelli presidente), in questi otto mesi lascia alla Calabria molto di sé. Iole, ci lascia i suoi sogni interrotti, la sua solitudine “ sempre popolata”, quell’amore che le batteva dentro e il desiderio di poterlo trasmettere in mille modi.
 
Ci lascia la sua nostalgia e quella melanconia chissà quante volte in contrasto con il rimpianto. Ci lascia il suo coraggio nella lotta contro la malattia e la dignità con cui l’ha affrontata esortando gli ammalati a non demordere e a non sentirsi diversi. A non indietreggiare rispetto alle antiche aspettative, al contrario accrescendole, come se il tempo fosse più lungo di qualsiasi previsione medica o della propria speranza. Ci lascia il duro ammonimento nei confronti dei cosiddetti sani a non sentirsi forti o superiori verso i soggetti fragili, ché qualsiasi diversità o malattia non riduce le capacità del creare e l’intelligenza del fare di chi oltre al corpo mette cuore e passione per realizzare il bene comune. Ci lascia la morte come alta lezione di vita. Improvvisa, a volte essa viene come un sonno leggero che ti addormenta, mentre sembra non curarsi di chi sei, di quanti impegni hai, di quanta ricchezza o povertà, potere o debolezza, cultura o ambizioni, possiedi. La morte arriva, che si sia in compagnia o no, quando si è soli. E nella solitudine. Perché la morte vuol parlare piano a chi la riceve.
 
La sua parola è una carezza. Sulla stanchezza e sul dolore. Iole, l’ha incontrata così. E non ne ha avuto paura. Quando ha riaperto gli occhi, da quel divano si è trovata Altrove presa per mano fino al punto del vero incontro con la vita nuova. Santelli presidente, ci lascia tante piccole buone cose. Due, fra tutte, quelle dalle quali non è facile tornare indietro: la donna presidente del governo regionale e la femminilità nel pensare e nell’agire politico. E la grazia nella gestione del potere. Teniamolo a mente, ove mai volessimo ancora pensare che “ morto un presidente se ne fa un altro.”

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