di EDOARDO CORASANITI
Sono due gli episodi che Marco Petrini racconta, descrive e poi ritratta su Giancarlo Pittelli, avvocato arrestato nell’ambito di “Rinascita Scott” con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Questi sono i verbali che vanno a finire nel processo da lunedì scorso, quando la Procura di Catanzaro durante l’udienza preliminare deposita le dichiarazioni rilasciate dal magistrato davanti ai magistrati campani.
E Petrini lo fa anche in maniera confusa, come ammette a chiusura dell’interrogatorio del 5 febbraio: “Sono molto stanco”. Talmente stanco da non riuscire a ricordare di quale episodio corruttivo stesse parlando. Segno evidente che, come detto pochi giorni fa a Salerno, fosse in condizioni di salute precarie e destabilizzate dalla detenzione, iniziata il 15 gennaio all’alba dell’operazione “Genesi” con l’accusa di corruzione (LEGGI QUI).
Due casi: la riduzione della sentenza di condanna contro Nicholas Sia, accusato dell’omicidio a Catanzaro del 18enne Marco Gentile, e un provvedimento di revoca di confisca in favore di Rocco Delfino, cliente di Pittelli e anche lui coinvolto in “Rinascita Scott”.
La domanda del pubblico ministero a Salerno è diretta e non lascia spazio ad interpretazione: ha ricevuto denaro o altre utilità per favorire imputati difesi da Giancarlo Pittelli o per i quali vi era un interessamento?
Petrini risponde di sì: “Qualche anno fa ho ricevuto una dazione di una somma di denaro pari a 2500 euro in cambio di un esito favorevole di un processo a carico di un imputato da lui difeso, se mal non ricordo, condannato in primo grado dal Tribunale di Catanzaro o Crotone”.
E iniziano i primi tentennamenti: “Colloco l’episodio in epoca successiva alla sua cessazione della carica parlamentare. La proposta corruttiva avvenne nei locali della Corte d’Appello”. Collocazione temporale che Petrini fornisce: 2016, a distanza di 5 anni dall’ultima volta che Pittelli siede in Parlamento. “La proposta l’ho ricevuta nel 2016, in ogni caso ricordo che non avevo occupato la stanza di presidente di sezione che è quella che è stata perquisita al mio arresto”. Fornita anche la quota: 2500 euro in cambio di una sentenza d’assoluzione. E poi spiega: “L’imputato venne assolto dalla Corte di Assise d’appello” . Fatto che non in realtà non corrisponde a niente: Sia è stato condannato a 12 anni, mentre in primo grado fu condannato a 18. Una riduzione sì, ma non un’assoluzione: “Aggiungo che all’imputato la Corte ridusse su mia proposta la pena da 18 anni a 12 anni”. Inoltre, dice Petrini: “La somma non promessa da Pittelli non mi fui mai consegnata”.
Per il caso Delfino, invece, Pittelli cercava la revoca della confisca, promettendo sempre 2500 euro.
A questo si aggiungono una serie di storture: Nicholas Sia è stato condannato a 17 anni e sei mesi in primo grado, con le attenuanti generiche, aggravato dai motivi futili.
Il processo va in Appello la prima volta e Petrini non è nemmeno nel collegio: presieduto dal giudice Reillo, la pena viene ridotta a 16 anni. La palla passa alla Cassazione, la quale annulla con rinvio perché l’Appello aveva ingiustamente negato lo stato d’ira e non aveva effettuato il bilanciamento tra aggravanti e attenuanti.
Ecco che il fascicolo arriva sul tavolo di Petrini (che presiede il collegio): da quanto evidenzia la Corte, il nuovo appello avrebbe dovuto riconoscere lo stato d’ira e la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti. Di fatto: la decisione della Corte d’appello era vincolata in fatto e in diritto a quanto sostenuto dai giudici ermellini.
Caso Delfino: Delfino si era rivolto a Catanzaro perché, dopo essere stato assolto per reati di mafia con sentenze che lo avevano definito come vittima di estorsione, gli era stata revocata dalla Corte di appello di Reggio la misura personale di prevenzione della sorveglianza speciale in quanto ritenuto non pericoloso.
In seguito alla riforma Orlando, Deflino si era rivolto alla Corre d’appello di Catanzaro (giudice competente) per ottenere la revoca della confisca. L’istanza verrà rigettata per questione procedurali a distanza di pochi mesi dall’arresto di Pittelli e Petrini.
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