di PAOLO CRISTOFARO
'NDRANGHETA E RIFIUTI. Esiste un business sul quale la ‘ndrangheta sembra avere un monopolio quasi esclusivo: i rifiuti. In una terra dove già vi è “la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la salute pubblica” – sono le parole dell’ordinanza regionale n°246 del 7 luglio 2019 – e dove la situazione appare già da tempo “ai limiti dell’emergenza igienico-sanitaria e ambientale”, l’infiltrazione della criminalità organizzata è drammaticamente capillare. Ma volendo analizzare quello che sembra essere a tutti gli effetti un elevato e preoccupante grado d’infiltrazione mafiosa nel sistema dei rifiuti in Calabria, è necessario prendere in considerazione dei fattori che, stando a quanto emerge da un confronto tra i risultati delle diverse indagini degli inquirenti, risultano determinanti per la riuscita delle operazioni malavitose nel settore: la connivenza, l’assuefazione, la collusione e la collaborazione della politica, miste ad un profondo livello di inefficienza gestionale e di carenze tecniche.
UN TRAFFICO INTERREGIONALE. È di oggi la notizia, giunta dalla Lombardia – regione dove l’espansione delle consorterie di ‘ndrangheta è ampissima (LEGGI QUI) – di 20 arresti, portati a termine dalla Guardia di Finanza, a seguito dell’ordinanza emessa dal Gip, Livio Cristofano, su richiesta dei Pm Sara Ombra e Gianluca Prisco, coordinati dall’aggiunto della Dda Alessandra Dolci (LEGGI QUI). Dall’inchiesta sarebbe emerso che il presunto boss, Bartolo Bruzzaniti, avrebbe offerto ad Alessandro Magnozzi, arrestato oggi, “l’opportunità di entrare in un nuovo business afferente al settore dei rifiuti, che gli avrebbe fruttato circa 4 milioni di euro l’anno”. È solo l’ultimo di una lunga serie di indizi che ci inducono a ritenere quasi totalmente “compromesso” il settore in questione. “La ‘ndrangheta riesce ad alterare le condizioni di libero mercato con monopolio di interi settori”, ha scritto la DIA nel report 2019. “Dismette i panni della mafia più arcaica e violenta, per vestirne quelli imprenditoriali”, riportano gli investigatori.
L’operazione “Morsa sugli appalti” (9/09/2014) aveva documentato l’interesse sulla gestione dei rifiuti a Siderno (RC). L’operazione “Eclissi”, invece, le ombre sugli appalti della raccolta a San Ferdinando (RC), conclusa il 14/10/2014. E lo stesso ambito d'impresa riguardava l’operazione “Ecosistema” (7/12/2016) a Reggio Calabria. Dati rilevanti, in tal senso, erano emersi già dalle inchieste “Ada” (2013) e “Ultima Spiaggia” (2014), riguardanti organizzazioni mafiose operanti nella fascia del basso Jonio reggino (Melito, San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri). E, ancora, a Brancaleone e Bova Marina. E, di nuovo, l’11/05/2017, l’operazione “Trash”, della Polizia, aveva coinvolto la cosca De Stefano. Il casato mafioso avrebbe messo le mani su “ingenti risorse economiche destinante alla raccolta e allo smaltimento”, come riporta sempre la DIA.
Le indagini hanno consentito di svelare anche collegamenti tra le cosche del reggino e altre regioni italiane, oltre alla già menzionata Lombardia. L’inchiesta “I conti di Lavagna” (giugno 2016) ha svelato le attività connesse al ciclo dei rifiuti in Liguria della ‘ndrina Nucera-Rodà, espressione dei Rodà-Casile di Condofuri (RC), “attraverso la sistematica e indebita aggiudicazione degli appalti”, riporta la Direzione Antimafia. E ancora l’inchiesta “Alchemia” (19 luglio 2016) – della DDA di Reggio – aveva segnalato gli interessi dei Raso-Gullace-Albanese, di Cittanova (RC), nel trasporto di rifiuti speciali, con collegamenti in Liguria, Lazio, Piemonte e altre aree del Nord Italia.
L’OPERAZIONE “QUARTA OPERA”, L’INCENDIO E L’INTERRAMENTO DEI RIFUTI (ANCHE PERICOLOSI). Secondo la Dia, numerosi sono stati gli incendi in aree periferiche e capannoni in giro per l’Italia, legati alla complessa filiera di rifiuti urbani, speciali e anche pericolosi. Anche “falsi certificati concorrono a declassificare i rifiuti” – abbassandone, su carta, il grado di tossicità – “per renderli compatibili con le autorizzazioni degli autotrasportatori e degli impianti di stoccaggio”. Gli interessi di chi compie azioni illecite, riguardano soprattutto i costi di smaltimento e l’ecotassa. Secondo il rapporto Legambiente 2019, nei confronti di aziende dei rifiuti, tra il 2015 e il 2018, sono stati contestati quasi 500 milioni di euro di maggiori imponibili e 126 milioni di IVA non versata. Si tratta di indicatori terribilmente connessi a forme di smaltimento, quindi, economiche ma illecite (non a caso la Dia cita letteralmente “interramenti in cave abusive” e “rifiuti tombati”). (LEGGI QUI)
Risale al dicembre 2019 l’operazione, condotta a Lamezia Terme (CZ), relativa a sversamenti illeciti di rifiuti e interramenti. Stando alle carte degli inquirenti, in due terreni distinti nell’area del lametino si sono verificati “scavamenti e interramenti di rifiuti, come dimostrato dall’analisi geo-satellitare” (LEGGI QUI). Gli inquirenti avevano scoperto alcuni mezzi articolati atti a scaricare illecitamente rifiuti in cave abusive di interramento, a più riprese. Successive analisi del terreno, condotte anche dalla Scientifica, ne avevano poi confermato l’inquinamento, tanto che gli investigatori hanno parlato di “anni di scavamenti e interramenti di rifiuti”.
I COLLABORATORI DI GIUSTIZIA, RINASCITA-SCOTT E LE ROTTE PER L’ESTERO. A completare il già inquietante quadro d’inchiesta, alcune informazioni emerse dalle indagini relative alla recentissima operazione “Rinascita-Scott”, condotta dal Procuratore Gratteri. Il pentito Andrea Mantella ha fatto chiari riferimenti a sotterramenti di rifiuti tossici in una miniera (provenienti dal nord). Lo stesso Mantella ha riferito dell’interesse dei Mancuso di Limbadi (VV) nel settore dei rifiuti. E dalle indagini condotte dagli inquirenti, relative alla medesima operazione, emergono tantissime situazioni – riguardanti diversi degli arrestati – relative ad incendi di rifiuti e di camion, ad appalti pilotati e ad estorsioni, tutte rivolte a raggiungere e mantenere il monopolio nel settore della spazzatura.
Ma il traffico illecito di rifiuti (anche tossici e altamente inquinanti) va ben oltre la Calabria e il resto dell’Italia, confermando l’interessamento, ancora nel 2019, di rotte verso l’estero. Esiste un “illecito traffico internazionale di rifiuti speciali, anche pericolosi, attraverso le dogane di Bari, Brindisi, Salerno, Napoli, Marina di Carrara, Livorno, Savona, La Spezia, Genova, Trieste, Chioggia, Padova, con svariate destinazioni in Asia e Africa”, scrive la Dia, in paesi come l’Afghanistan, l’Arabia Saudita, l’Egitto, l’Iraq, la Libia, la Nigeria, la Tunisia e la già tristemente nota Somalia.
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