L'associazione MEDIASS medici di famiglia a Catanzaro dott. Annibale Battaglia, dott.ssa Rosa Bianco, dott.ssa Iolanda Fera, dott.ssa Antonietta Greco, dott. Giacinto Nanci, dott. Andrea Muscolo e dott. Rossi Carmelo ha elaborato una nota informativa sull’assistenza data agli iscritti durante la pandemia covid e per dare suggerimenti sulle criticità rilevate. L’associazione MEDIASS è composta da 7 medici di famiglia a Catanzaro dove curiamo oltre 10000 catanzaresi. Di seguito la versione integrale.
"Siamo collegati in rete geografica (con gli studi dislocati in varie parti della città) con un server. Archiviamo i dati con modalità validata denominata “medico ricercatore Healtl Search” per cui produciamo dati uniformi e confrontabili, ma la cosa più importante è che siamo collegati con circa altri 1000 medici in tutta Italia che utilizzano lo stesso programma con le stesse modalità per cui ci possiamo confrontare con le altre regioni e con l’Italia intera. Abbiamo estratto i dati dei nostri circa 10000 assistiti per verificare la qualità dell’assistenza durante la pandemia covid e li abbiamo confrontati con lo stesso periodo dell’anno scorso. I dati estratti sono dal 01/03/2019 al 31/05/2019 confrontati con quelli dal 01/03/2020 al 31/05/2020. Abbiamo estratto le prescrizioni dei seguenti indicatori: accessi (per accesso si intende che il medico apre la cartella clinica di un assistito e compie in essa un atto medico), esami ematochimici e strumentali, visite specialistiche, terapie farmacologiche, ricoveri ospedalieri, assistiti deceduti e numero delle telefonate al numero fisso confrontandole con quelle dello stesso periodo del 2019. Per ogni indicatore il primo numero si riferisce al 2019 e il secondo al 2020. Accessi 26344 verso 20371, esami 35490 verso 17310, visite specialistiche 5016 verso 1764, terapie 37316 verso 32535, ricoveri 100 verso 42 decessi 8 verso 8 e le telefonate 12026 verso 21252. Da questi dati si evince che la somma degli accessi e delle telefonate degli assistiti con i medici Mediass è superiore nel periodo della pandemia (20371+21252) 41623 verso (26344+12026) 38370 del 2019 e se a questi accessi si aggiungono quelli via email, SMS e whatsapp (tutti in naturale aumento durate la pandemia) si può concludere che gli accessi dei medici Mediass con i propri assistiti durante la pandemia è nettamente aumentato. Un secondo dato che dimostra un maggiore lavoro del medico di famiglia durante la pandemia è la forte diminuzione delle visite specialistiche prescritte durante la pandemia 1764 (e di queste la gran parte neanche eseguite) rispetto alle 5016 del 2019. Una diminuzione del 65% per cui il medico di famiglia ha dovuto fare il monitoraggio dei malati cronici e gestire le loro riacutizzazioni in prima persona. E visto che la prescrivibilità delle visite specialistiche era solo in modalità “urgente” la dirigenza ASP ha creduto bene di verificare se l’apposizione dell’urgenza fatta dai medici di famiglia era appropriata per eventuali contestazioni agli stessi. Mentre i medici di famiglia erano in prima linea a combattere il covid la dirigenza ASP invece di attivarsi a limitare i contagi e diminuire i morti per covid ha trovato il tempo di spendere energie “burocratiche” nel controllo di chi combatteva il virus.
L’ASP ha inoltre pensato, sempre durante la pandemia, ma poi ci ha ripensato, di trasferire ai medici di famiglia funzioni burocratiche di altre unità operative come la prescrizione dei presidi per i diabetici. Un altro fattore che ha aggravato il lavoro del medico di famiglia è stata la netta diminuzione dei ricoveri degli assistiti MEDIASS passati dai 100 del 2019 ai 42 del 2020. I medici Mediass hanno dovuto gestire a casa circa 58 pazienti che avrebbero necessitato il ricovero ospedaliero. Tutta questa maggiorazione di lavoro i medici Mediass lo hanno dovuto fare senza l’ausilio degli esami di laboratorio e strumentali, infatti nel 2020 ne sono stati prescritti solo 17310 (e molti neanche eseguiti) ben il 52% in meno rispetto ai 35490 del 2019. E come se tutto questo non bastasse i medici di famiglia hanno dovuto curare i propri assistiti, durante la pandemia, con meno farmaci 32535 (il 13,5% in meno) rispetto ai 37316 del 2019, perché il commissario al piano di rientro sanitario calabrese Cotticelli, invece di impegnarsi nella lotta contro il coronavirus (infatti dei suoi innumerevoli decreti emanati durante la pandemia solo uno fa riferimento al covid) ha trovato il tempo di emanare il 6 marzo 2020 il decreto n. 63 ..”azioni di contenimento della spesa farmaceutica…” che in pratica toglie i farmaci ai malati calabresi. L’assunto di questo decreto è che la Calabria consuma il 14,6% di farmaci in più della media italiana. Questo assunto sarebbe logico se il numero dei malati calabresi e delle loro malattie fosse sovrapponibile alla media italiana ma si da il caso che in Calabria ci sono proprio il 14,5% di malati cronici in più del resto d’Italia per come certificato dal commissario Scura (predecessore di Cotticelli) con il suo decreto n. 103 del 15/09/2015. Il commissario Cotticelli quindi, proprio durante la pandemia, con questo decreto ha posto delle limitazioni alla prescrivibilità di molti farmaci per le patologie croniche più diffuse, raggiungendo il suo obiettivo risparmiando proprio il 13,5% di spesa farmaceutica, ma impedendo una corretta cura dei malati calabresi esponendoli, proprio perché impossibilitati a curarsi bene alle conseguenze di una eventuale infezione di coronavirus. Il commissario lo ha fatto applicando pedissequamente il piano di rientro sanitario che lo “obbliga” a pensare solo al risparmio anche durante la pandemia, anche se sa che il malato cronico che non si cura bene peggiora si complica e poi per poterlo curare bisogna spendere molto di più proprio come lo dimostra il fatto che dopo 10 anni di piano di rientro il deficit sanitario della regione Calabria invece di diminuire è raddoppiato raggiungendo 160 milioni di euro, e anche se sa che a parità di patologia in Calabria si muore prima che non nel resto d’Italia e anche se sa che dopo 10 anni di piano di rientro, per la prima volta nella storia della Calabria l’aspettativa di vita invece di aumentare è diminuita. Tutti questi dati indicano che il medico di famiglia è stato, anche in questa pandemia, un punto di riferimento, uno dei pochissimi, per gli assistiti dando loro assistenza qualificata infatti gli studi MEDIASS sono stati sempre aperti, e dalle ore 8 alle ore 20 uno di essi è stato sempre a loro disposizione nonostante che abbiamo ricevuto solo scadenti mascherine e in numero quanto la conta delle dita di una mano e i tamponi ci sono stati fatti a partire dall’11 giugno 2020. L’assistenza, anche in sostituzione delle visite specialistiche, con pochi esami, con pochi ricoveri e meno farmaci è stato possibile farla grazie alla qualità dei dati archiviati nel server MEDASS legata ad una forma di teleassistenza (ricette telematiche, telefono, email, sms, whatsapp ) e i deceduti nel 2020 sono stati gli stessi del 2019. L’associazione MEDIASS molti anni fa aveva già proposto alla ASP (e la vorremmo riproporre) una “unità di cure primarie telematica” che in questa occasione sarebbe stata in grado di attivare quei settori oggi rimasti in disparte per la lotta contro il coronavirus. Ma la criticità maggiore di questa pandemia, messa in evidenza dalla paura generalizzata che in Calabria e in tutto il sud si avessero numeri di contagiosità come la Lombardia, è il fatto che la Calabria e tutto il sud non hanno dei sistemi sanitari pronti ad affrontarla. La Calabria non ha un sistema sanitario idoneo ad affrontare una pandemia ad alta contagiosità a causa del piano di rientro sanitario cui essa è sottoposta da oltre 10 anni. Da 10 anni ad amministrare la sanità calabrese non sono gli amministratori calabresi ma i ministeri dell’Economia e della Salute tramite i commissari ma la situazione è peggiorata con chiusura di ospedali, diminuzione di posti letto, personale infermieristico e medico più che in altre regioni d’Italia e con forti criticità dei LEA (livelli essenziali di assistenza) e nonostante la maggiorazione delle tasse ai calabresi per 100 milioni di euro ogni anno da ormai 10 anni. L’errore di fondo del piano di rientro è che la Calabria è la regione che riceve, ormai da 20 anni, meno finanziamenti pro capite in sanità rispetto alle altre regioni d’Italia pur avendo tra i suoi due milioni di abitanti quasi 300.000 malati cronici in più di altri due milioni di altri italiani. E’ solo questo il motivo per cui i finanziamenti non sono potuti bastare per curare i troppi malati cronici e creare un sistema sanitario in grado di affrontare una pandemia come il covid. E il piano di rientro imponendo ulteriori risparmi sui fondi già insufficienti, non solo ha peggiorato la situazione, ma ha definitivamente impedito la possibilità di organizzare un sistema sanitario capace di difendere i malati calabresi non solo in periodo di covid ma anche in tempi di normalità.
Che fare allora? Bisogna finanziare i sistemi sanitari, non come è adesso sulla base demografica e costi standard, ma sulla base della numerosità delle malattie, dove ci sono più malati più fondi (come la Calabria). E’ il solo modo per poter pensare di organizzare un sistema sanitario calabrese in grado di far si che l’aspettativa di vita in Calabria torni ad aumentare invece di diminuire, che in Calabria a parità di patologia non si muoia prima, che i calabresi non debbano più fare i viaggi della speranza per curarsi fuori regione e infine per avere solo paura (e non terrore) della prossima pandemia che ci colpirà".
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